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La povertà continua a non essere in agenda

di Chiara Saraceno
venerdì 20 febbraio 2015

VERSO UNA LOGICA UNIVERSALISTICA

Il decreto di riforma degli ammortizzatori sociali, approvato dal Consiglio dei ministri il 24 dicembre e trasmesso alla Camera dei deputati, per la conversione in legge, il 13 gennaio 2015 fa un ulteriore passo avanti, rispetto alla riforma Fornero, nella direzione della introduzione di una misura unica di sostegno pera chi perde il lavoro. In attesa della annunciata riforma che semplifichi l’attuale molteplicità attuale dei contratti di lavoro, la misura introduce, accanto alla ribattezzata Naspi (Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego), diretta ai lavoratori dipendenti, anche una indennità con caratteri analoghi diretta ai lavoratori parasubordinati – la Dis-Coll.

La combinazione di criteri contributivi e tempi minimi in cui si è stati occupati probabilmente lascerà privi di protezione ancora un buon numero di persone che perdono il lavoro prima di aver maturato uno o entrambi i requisiti. Così come rimarranno escluse le false partite Iva. Si tratta, tuttavia, di un importante passo avanti verso una logica universalistica.

MA NON TUTTI I POVERI SONO UGUALI

Il decreto, tuttavia, contiene anche una novità che smentisce quella stessa logica. Si tratta dell’assegno di disoccupazione (Asdi, vedi Titolo III, art. 16 del decreto) destinato “ai lavoratori beneficiari della Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (…) che abbiano fruito di questa per l’intera sua durata entro il 31 dicembre 2015, siano privi di occupazione e si trovino in una condizione economica di bisogno”. In un paese come l’Italia in cui manca una misura di garanzia del reddito per i poveri, viene individuata una categoria di poveri “meritevoli” in quanto hanno fruito del periodo massimo dell’indennità di disoccupazione. Coloro che hanno carriere lavorative troppo frammentate per fruire del Naspi, o per fruirne per il massimo periodo possibile, e soprattutto coloro che sono poveri perché non hanno mai avuto la possibilità di avere un rapporto di lavoro regolare, sono ancora una volta esclusi. Si pensi, per fare solo un esempio, a donne con figli che sono fuori dal mercato del lavoro da tempo, o non vi sono mai entrate, perché si sono dedicate alla famiglia e che si trovano prive di reddito a seguito di una improvvisa vedovanza o di una separazione. O a uomini e donne disoccupati di lunga durata, da prima del 2015, che proprio per questo non hanno potuto accedere al Naspi. Ricordo che, mentre l’assegno di disoccupazione è uno strumento molto poco diffuso nell’Unione Europea ed è stato abbandonato nel 2000 dalla Germania che lo aveva, una misura di reddito di garanzia per i poveri – a prescindere dalla loro storia contributiva e lavorativa pregressa – fa invece parte del sistema di protezione sociale di quasi tutti i paesi europei.

Il decreto poi accompagna questa inaccettabile categorialità con ulteriori limitazioni: la priorità verrà data ai disoccupati con figli e a quelli prossimi al pensionamento. Inoltre la misura, proposta come sperimentale, è subordinata a un vincolo di risorse. Il che significa che verrà erogata sulla base di una sorta di “first come, first served”. Occorrerà che i disoccupati poveri abbiano l’avvertenza di calcolare bene il proprio periodo di disoccupazione coperto da Naspi, per poter eventualmente fruire dell’assegno assistenziale tra i primi, senza rischiare di averne titolo quando le risorse saranno esaurite.

Si continua a dire che in Italia non si può introdurre una misura di reddito minimo universale per i poveri, del tipo Sostegno all’inclusione attiva (Sia) proposto dalla commissione Guerra durante il Governo Letta perché mancano le risorse. Ma si continuano a consumare risorse preziose in mille rivoli che non riescono mai a fare massa critica e che spesso escludono proprio i più poveri: dagli 80 euro mensili per i lavoratori dipendenti a basso reddito che escludono gli incapienti, agli ottanta euro mensili per tre anni per i neonati in famiglie a basso reddito (che escludono gran parte delle famiglie numerose in cui più è concentrata la povertà), fino a questa proposta di assegno di disoccupazione che esclude tutti i poveri talmente sfortunati da non avere avuto né un lavoro regolare, né la nuova prestazione sociale per l’impiego, il Naspi. Qualcuno potrebbe obiettare che iniziare dai disoccupati poveri può essere un’utile mossa tattica per arrivare a tutti i poveri in un paese – e in una classe politica e sindacale – in cui la povertà, per quanto estesa e in aumento, non riesce a entrare nell’agenda politica. Temo che non sia così. Piuttosto non fa che confermare la logica categoriale del sistema di welfare italiano, responsabile non solo di molte ingiustizie, ma anche di molte inefficienze.



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