Per quanto riguarda Nuit Debout, si sono tutti trovati d’accordo:
“l’età media è intorno ai venticinque anni”, sono “un incontro di bobos (“bourgeois-bohémien“, versione francese dei nuovi radical chic ndr) parigini”, “non vi prende parte alcun vero proletario”, “fanno parte di una borghesia bianca urbana”, “sono dei SDF (senza dimora, ndr) e dei punk con i dreads che bevono birra”, “una concentrazione di studenti fuori corso”, “militanti dell’ultra sinistra e di semi-professionisti dell’attivismo di base”…
Queste definizioni, spesso molto nette, fanno emergere delle categorie già ben definite, delle quali si sa già cosa pensare, evidenziano come è composto il movimento, cosa può o non può diventare, trascurano gli ordini di grandezza, gerarchizzano i luoghi o i momenti della piazza, quali sono le vere o le false Nuit debout. Si rivendica qui un diverso approccio per cominciare a determinare i fatti con delle inchieste collettive.
Dopo i primi giorni di Nuit debout, come gruppo composto da una trentina di ricercatori in scienze sociali ci siamo dati appuntamento a Parigi, a Place de la République. Abbiamo lavorato per sei sere, tra l’8 aprile e il 13 maggio, dalle 17 alle 22,30. In totale, circa seicento persone hanno risposto al nostro questionario, somministrato direttamente sul posto. Contrariamente alle nostre preoccupazioni, solo raramente qualcuno si è rifiutato di partecipare all’inchiesta: le persone incontrate, anche di cultura anarchica o libertaria, hanno in genere considerato l’inchiesta come un prolungamento delle domande che loro stessi ponevano e come l’occasione di contribuire a una descrizione più fondata di quelle degli osservatori frettolosi che riempiono i mezzi di comunicazione. L’analisi di questi dati, prodotti parallelamente a una etnografia, è appena all’inizio. Ma i primi 328 questionari analizzati permettono già di dissipare molte delle idee preconcette sulle persone “in piedi” durante le prime settimane del movimento.
Giovani?
Sono solo dei giovani? No: le persone presenti non sono in maggioranza dei ventenni. La gamma delle età è in realtà molto ampia e cambia a seconda delle ore del giorno e della notte. Tra le 18 e le 18,30, ad esempio, la metà dei presenti ha più di trentatre anni. E una persona su cinque ha più di cinquant’anni.
Uomini?
La popolazione presente è formata per due terzi da uomini. Ciò si può in parte spiegare per i luoghi – spazi pubblici urbani – e gli orari tardi, che non favoriscono la presenza di donne, a causa dei possibili impegni familiari e della esposizione ai rischi di molestie della strada. Questa distribuzione ineguale è oggetto di riflessioni e di azioni da parte del movimento, sia nelle commissioni femministe che nell’Assemblea generale.
Parigini?
Le Figaro scriveva che le persone vengono in primo luogo “dai quartieri centrali di Parigi”. Invece i quartieri più rappresentati sono piuttosto quelli dell’Est parigino, come dimostra la mappa delle residenze, e il 37 per cento dei partecipanti che abitano nell’Ile de France vengono in realtà dalle periferie. Un partecipante su dieci non abita nemmeno nella regione di Parigi.
Diplomati?
Un incontro interno di diplomati, senza categorie popolari? In prima approssimazione, sembra di sì: la maggioranza dei partecipanti è diplomata ampiamente alle superiori (61 per cento), mentre ciò è vero solo per un quarto della popolazione francese. Ma l’immagine cambia se la si guarda più da vicino: non soltanto il tasso di disoccupazione è del 20 per cento tra i partecipanti, vale a dire il doppio della media nazionale; ma si conta il 16 per cento di operai tra gli attivi, cioè tre volte di più che a Parigi e a quanto si registra nell’Ile de France presa nel suo complesso.
Apolitici?
Una festa a-politica? Più di un terzo delle persone ha partecipato a una manifestazione contro il progetto di legge El Khomri (il nome del ministro del lavoro). La proporzione di chi ha riempito il questionario che dichiarano di essere già stati membri di un partito politico è piuttosto notevole in un contesto di disaffezione militante: 17 per cento. E il 22 per cento sono stati iscritti a un sindacato. Gli impegni di cittadinanza, associativi o assistenziali sono anch’essi molto presenti. Più della metà ne hanno avuto uno o parecchi (aiuti ai rifugiati, ai senza documenti, alle vittime di ruberie, alle associazioni di genitori, di quartiere, di difesa dell’ambiente, al sostegno scolastico, a dei festival, a delle associazioni di caffè, ecc.)
Egocentrici?
Una folla innamorata di se stessa? Una emozione vissuta, il brivido nella schiena dell’essere “insieme”, sono lungi dal primeggiare: la gamma degli impegni e degli ambienti di origine è molto più grande. Prendere sul serio il fatto che questo movimento è una manifestazione di piazza, significa ammettere che la presenza, per quanto discreta, distratta o individuale possa essere, diventa una forma di partecipazione: aggirarsi lungo i banchetti, diffondere tra amici o colleghi delle mail, delle foto o dei video. Alcuni è la prima volta che vengono, magari da lontano, “per guardare”, per tenersi al corrente, o per poter dire che ci sono stati; altri vengono per osservare, per vedere se possono essere parte del movimento, per essere utili. Due su tre fra coloro che hanno risposto alle domande hanno portato dei materiali o dei cibi, hanno dato dei soldi, hanno preso la parola nell’Assemblea generale o hanno partecipato a una commissione. La partecipazione assidua e attiva alle commissioni (fare il verbale, assumere il ruolo di “referente”, ecc.) può anche diventare un impegno a tempo pieno. Quasi il 10 per cento di chi ha risposto sono perfino diventati dei partecipanti in modo continuativo, che si presentano a Piazza della Repubblica tutti i giorni. Tra di questi, i mondi di professionisti connessi con l’informatica e gli operai sono sovra rappresentati.
Senza un domani?
Si tratta di un fenomeno che non ha un futuro? È stupefacente che, per essere giudicata utile, l’apertura di spazi di confronto e dibattito tra cittadini su problemi comuni a tutti debba promettere di sfociare in qualche cosa che sia molto diversa da se stessa. È come se la politica non valga se non ha uno scopo come orizzonte, oppure l’accesso al potere e alle sue potenzialità elettorali. È ancora più stupefacente che il gusto della politica e della partecipazione alla gestione dei problemi di comune interesse sono le cose di cui si deplora più spesso il supposto riflusso. Per quanto riguarda il futuro di Nuit debout, solo il 20 per cento delle persone che hanno risposto al questionario il 28 aprile e l’11 maggio hanno dichiarato di sperare in una trasformazione in un partito politico. Molti esitano, incerti tra il desiderio “che tutto ciò assuma una forma”, il rifiuto di forme di schieramento già ben conosciute e la sensazione che l’esplorazione deve ancora proseguire per qualche tempo.
Una impossibile lotta globale?
Anche questo è un altro pregiudizio: l’insistenza su ciò che è “comune” comporterebbe la diffusione del movimento e la costruzione di rivendicazioni. D’altra parte, la pluralità di cause e di posizioni, la difficoltà di ridurre all’unità o alla omogeneità militante, con le tensioni che comportano, sono anch’esse una caratteristica positiva del movimento. Il nostro materiale mostra una formidabile capacità di far coesistere riferimenti politici e culturali diversi, che vanno dal poeta Aragon a Madre Teresa di Calcutta o a Coluche, passando dai cantanti Brassens, Renaud, Bob Marley, Barbara, Leo Ferrè, i film Merci Patron! E alla ricerca di Vivian Maier, quelli di Ken Loach e di Jean-Luc Godard, l’attore Gerard Depardieu, i saggisti Naomi Klein e Stéphane Hessel, gli economisti Adam Smith e Karl Marx, il pedagogo Cèlestin Freinet, la femminista Christiane Rochefort, gli scrittori Guy Debord e Jack London, l’ecologo Karl Mobius, il politico Leon Trotsky, il matematico Grigori Perelman, i sociologi Pierre Bourdieu e Frederic Lordon, la giornalista Aymeric Caron e una moltitudine di altri… Alcuni di questi riferimento sono già internazionali e le posizioni rivendicative li caratterizzano in larga misura. Inoltre, anche se gli orizzonti si collocano quasi sempre a sinistra, malgrado una delusione generale nei confronti dell’attuale governo, si possono anche incontrare degli eletti locali dei partiti di destra.
Una simpatia in marcia!
A Parigi, il pubblico di Nuit debout è molto più variegato di quanto non si sia detto finora. Si condividono delle forme di partecipazione di cittadinanza diversificate, l’ascolto degli altri e l’immaginazione di un avvenire comune non lo sono di meno. Un limite alla diffusione del movimento consiste probabilmente nella percezione che ne hanno coloro che si accontentano di descrizioni univoche. Volendo porre fine alle domanda di che cosa si tratta, si vietano la possibilità di essere sorpresi dal movimento stesso.
Al contrario, coloro che si impegnano maggiormente sono coloro che hanno deciso di pagare dei costi personali pur di cercare la risposta a questa domanda. Degli altri, pur essendo dei simpatizzanti, non osano affrontare questa esperienza, talvolta perché non pensano di averne la capacità. Tutto ciò, al di là della disponibilità di tempo, molto citata nei mezzi di comunicazione, richiede anche una capacità in termini essenzialmente fisici, come ci ha raccontato, con uno spiccato senso dell’umorismo, la signora di una certa età, incrociata nella piazza, che rimpiangeva di non aver potuto concretizzare il suo impegno ai livelli della sua simpatia per il movimento: “Lei è qui per partecipare a Nuit debout? – Oh sì mi piacerebbe molto, davvero molto! Ma io ormai sono troppo vecchia, sapete! Non posso più restare in piedi… per troppo tempo!”.
* Reporterre, quotidiano web indipendente dell’ecologia, è nato nel 1989 ed è diventato un giornale on line dal 2007. Traduzione per Comune di Alberto Castagnola (titolo originale "Qui vient à Nuit debout? Des sociologues répondent")
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