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La pace negata

di Ada Donno
mercoledì 12 ottobre 2016

Il plebiscito infine ha detto No agli accordi di pace in Colombia. Tremendo risultato – ci scrive ancora incredula un’amica colombiana - sembra che la guerra continui ad essere un affare per alcuni. Con un’astensione oltre il 60%, una maggioranza risicata del restante 40% ha respinto gli Acuerdos de Paz, grazie ad una propaganda subdola, aggressiva e menzognera del No, ma anche a manipolazioni scoperte o sotterranee dei poteri forti interni e internazionali per ostacolarne il percorso. Questo rifiuto rischia di scatenare ulteriori divisioni politiche e sociali, soprattutto là dove il conflitto armato per oltre 50 anni ha colpito più forte.

Negli Accordi, sottoscritti a L’Avana in giugno - 297 pagine di testo concordato dopo quattro anni di paziente e complicato negoziato fra il governo colombiano e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia con la determinante mediazione di Cuba, Venezuela, Cile e Norvegia - si stabiliscono le condizioni di una riforma agraria integrale, con la restituzione delle terre sottratte ai contadini, la lotta al narcotraffico e la sostituzione delle colture illegali; della partecipazione politica di organizzazioni e movimenti popolari; del risarcimento alle vittime del cinquantennale conflitto armato fra l’esercito governativo e le bande paramilitari da una parte, l’Insurgencia popolare dall’altra. Inoltre - cosa niente affatto secondaria – s’introduce il criterio dell’uguaglianza di genere e dei diritti delle donne nelle rappresentanze politiche ad ogni livello.

Per queste ragioni la FDIM / WIDF - Federazione Democratica Internazionale delle Donne - che è una delle organizzazioni non governative internazionali designate dal tavolo negoziale per vigilare sull’applicazione degli Accordi, ha sostenuto strenuamente il Sì alla pace.

Gli accordi, celebrati dal governo con una cerimonia enfatica il 26 settembre a Cartagena de Las Indias, hanno stabilito la ratifica plebiscitaria, il Sì o il No dell’elettorato colombiano, per il 2 ottobre. Il risultato funesto che registriamo oggi – scrive un’altra, avvilita - è frutto dell’odio, la disinformazione e il risentimento di un paese profondamente malato che si nega al perdono e alla riconciliazione. Ma chi ha letto il testo completo degli Accordi - cosa che pochi hanno fatto tra coloro che supinamente hanno prestato ascolto ai mass media addomesticati - sa che l’uscita politica dal conflitto armato è la cosa migliore che possa accadere in Colombia.

La Fdim scegliendo di tenere il suo 16° congresso a Bogotà, il 15-18 settembre, lo ha fatto consapevole della coincidenza con questo storico appuntamento. La Fdim è un’organizzazione prestigiosa nell’ambito del movimento femminile e femminista internazionale, gode di statuto consultivo presso il Consiglio economico sociale dell’Onu, nei decenni trascorsi ha avuto un ruolo importante nell’inclusione dei diritti delle donne e della prospettiva di genere nelle politiche delle Nazioni Unite, presso la Corte internazionale dei diritti umani, nelle conferenze mondiali in difesa dell’ambiente e della diversità culturale, contro la fame e l’apartheid, nei forum mondiali. Negli ultimi vent’anni ha conosciuto una grande crescita nei paesi dell’America Latina e per questo è fra le organizzazioni non governative internazionali incaricate di vigilare sull’applicazione degli Acuerdos de Paz in un’ottica di genere.

La Fdim (o Fdif) fu fondata a Parigi il 1° dicembre ‘45 dalle donne che uscivano dalla resistenza europea contro il nazifascismo e dalla seconda guerra mondiale. La pace nel mondo, finalità primaria proclamata all’atto della fondazione, è rimasta il suo costante nord in questi settant’anni e riconfermata nel motto di questo suo 16° congresso: donne unite nella lotta per la pace e contro l’imperialismo. Il tema generale è articolato in sei temi di discussione che costituiscono le tesi del congresso: Guerre imperialiste, aggressioni e sfide alla pace, con una sezione speciale dedicata alla regione araba; Crisi capitalistica e impatto sulla condizione delle donne; Cambiamenti climatici e sicurezza alimentare; Lotte delle donne per il lavoro, la parità di diritti e contro ogni tipo di violenza; Diversità etnica e culturale nell’ottica di genere; Le giuste lotte della Fdim. Una settima tesi su “Donne d’Africa: lotte, progressi e conquiste” è stata proposta al congresso dalle donne angolane.

Le organizzazioni colombiane affiliate alla Fdim - Associazione per i diritti delle donne colombiane (Asodemuc) e Unione donne democratiche (UMD) - col supporto unitario delle donne di Marcha Patriotica, Poder Ciudadano, Fundacion Nacion Activa (Conamu), dei sindacati e dei partiti della sinistra, hanno compiuto un grande sforzo per accogliere il congresso con le trecento delegate di 68 organizzazioni dai cinque continenti, nella Casa de Eventos Tequendama di Bogotà. Non possiamo tacere, per rispetto del gran lavoro sostenuto, che il supporto economico promesso in un primo momento dal governo colombiano è stato negato mentre i lavori erano in corso. E lo stesso presidente Santos, che aveva assicurato la sua presenza, si è limitato a inviare un messaggio di saluto. Ma il congresso è stato ugualmente un successo di partecipazione ed entusiasmo. Come da statuto, sono stati rinnovati gli organismi dirigenti della Fdim per i prossimi tre anni. Un festoso grazie è stato tributato alla compagna Marcia Campos, della Confederazione delle donne brasiliane, che ha tenuto la presidenza in questi anni di straordinaria crescita della Fdim in America Latina. La nuova presidente è Lorena Peña dell’associazione Las Melidas del Salvador, prestigiosa ex combattente del Frente Farabundo Marti. L’affiancheranno nel suo lavoro due vice-presidenti per ciascun continente, anche esse elette dal congresso, e le coordinatrici dei cinque uffici regionali. Auguri di buon lavoro a tutte noi!

Un Patto delle donne del mondo per la pace in Colombia, è stato suggellato. Letto la sera del 18 settembre - a conclusione della Marcia internazionale delle donne per la pace che ha percorso le strade di Bogotà fino al monumento dedicato alla libertadora Manuela Saenz – il Patto sottolinea il protagonismo delle donne colombiane, senza precedenti nella storia di questo paese, lungo tutto il percorso negoziale che ha condotto agli Accordi di pace.

El Sì es una fiesta! Sì a la vida, Sì a la paz, Sì a la reconciliaciòn! La propaganda del Sì è sorridente e rassicurante, mira a convincere, con argomenti semplici che spiegano las buenas razones para decir Sì a los Acuerdos de Paz. Ricorda le cifre di cinquant’anni di conflitto fra insurgencia popolare e repressione sanguinaria statale (col suo braccio armato paramilitare): 225 mila i morti, 45 mila i desaparecidos, circa 7 milioni gli sfollati interni e 400mila gli esuli. Ne denuncia le radici: l’estrema disuguaglianza e ingiustizia sociale, la concentrazione della proprietà terriera (il 46 per cento della terra è nelle mani dello 0,4 per cento della popolazione), la criminalizzazione della protesta sociale, la persecuzione delle organizzazioni sindacali, la violazione dei diritti e l’assenza di democrazia. Ne indica la via d’uscita politica possibile: la costruzione partecipata di un “sistema integrato di verità, giustizia, riparazione e non ripetizione” per favorire la transizione. Il principio di “riparazione” per risarcire le vittime, la garanzia di “non ripetizione” per salvaguardare le Farc-Ep dal pericolo (non astratto) che si ripeta quanto accadde a Uniòn Patriòtica, la formazione politica nata dal primo tentativo di trattativa, che subì una sistematica persecuzione, fino al massacro di migliaia di suoi militanti, dopo il suo fallimento.

La propaganda del No è torva, bugiarda, vigliacca. Mira a resuscitare i fantasmi insanguinati del passato, ad alimentare le oscure paure del presente, ad annichilire le timorose speranze di futuro. Mentre le gerarchie cattoliche accendono una candela a Dio e un’altra al diavolo, come dicono qui, incoraggiando l’astensionismo, per il fondamentalismo cristiano gli accordi sono senza meno opera del diavolo: “la Colombia è in pericolo di cadere sotto una dittatura comunista e sotto l’imminente approvazione dell’Ideologia del Gender”. Satana si nasconde dentro i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere! La propaganda del No più urlata ha la faccia dall’ex presidente Uribe, l’uomo della oligarchia latifondista e finanziaria, del famigerato Plan Colombia concertato con gli Usa, degli escuadrones de la muerte. All’estrema destra legata alla proprietà terriera - che dalla guerra ha tratto profitto sottraendo quattro milioni di ettari ai campesinos - paiono diabolici soprattutto i punti degli accordi che riguardano la riforma agraria integrale, la distribuzione delle terre incolte e la conversione delle colture illecite.

La vittoria del Sì è data per certa dai sondaggi fino all’ultimo. Partiti di sinistra e sindacati, intellettuali e artisti, gruppi musicali organizzati e spontanei, associazioni culturali e singole persone di buona volontà s’impegnano senza risparmio. Tutti ricordano che i due precedenti processi di pace (nel 1984 e nel 1998) sono naufragati per i voltafaccia dei governi di turno e le pressioni degli Usa. Da L’Avana, il comandante guerrigliero Timoleón Jiménez si dice speranzoso che questa volta agli accordi di pace non sarà negato il voto.

Il plebiscito invece ha detto No, sia pure di strettissima misura e con un’astensione di oltre il 60 per cento. Il paradosso è che si sono avute le percentuali più alte di Sì nelle zone più funestate dal conflitto, quelle che più avrebbero avuto motivo di coltivare l’odio. Il No ha vinto invece nei territori urbani che la guerra l’hanno vista attraverso i telegiornali di regime e la stampa asservita. Paradosso solo apparente, che in realtà descrive bene dove sta il bisogno di una uscita politica dal più lungo conflitto armato in America Latina.

“Noi donne di Colombia vi promettiamo di non essere inferiori alla Storia”, ci aveva detto Gloria Inès Ramirez, coordinatrice della campagna La paz Sì es Contigo. Ma per il momento è la Storia a segnare una battuta d’arresto, in Colombia. E’ vero che il plebiscito, voluto dal governo (mentre le Farc proponevano un’Assemblea costituente), non è giuridicamente vincolante per il prosieguo della trattativa. Ma già Santos e gli Stati Uniti ne approfittano per chiedere un cambio di strategia e propongono di aggiungere al tavolo dei negoziati l’estrema destra. E tutto si complica.



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