Perché, ormai da molti anni, continuo a pensare, scrivere, discutere di amore? Perché, anche se non solo, sono soprattutto le donne a farlo? Quale bisogno mi/ci spinge a una ricerca continua a un indagare che non cessa mai di approfondire, ampliare, cercare la conoscenza all’interno del sentimento che, più forte, ha guidato la vita di ognuno?
A questi interrogativi non mi mancano le risposte, ne ho molte e cercherò di chiarirle scrivendo, eppure non ne sono mai soddisfatta, al punto che ormai mi sono convinta che è nella natura stessa di questa ricerca, nella natura stessa del suo oggetto – l’amore appunto - il fatto di essere inesauribile, di continuamente aprire nuovi orizzonti. E questa prospettiva è certamente molto ricca di fascino.
L’amore in senso lato – ma è inevitabile che il nostro pensiero corra soprattutto all’amore tra persone – l’ho spesso definito una virtù, e una virtù femminile per di più: ne sono tuttora convinta e da qui voglio spingere ancora avanti il mio pensiero. L’amore ci insegna: non credo proprio che ci accechi, tutt’altro, quando siamo innamorati o innamorate si affina una sensibilità particolare, un’attenzione e una capacità di ascolto e lettura dell’altro/altra che non possedevamo in precedenza. Sembra che l’orizzonte si limiti alla relazione con la sola persona amata e che queste capacità si sviluppino solo nei suoi confronti, ma non lo credo. Sono apprendimenti che ci cambiano, che ci rendono più profondi e profonde e che non perdiamo quando e se perdiamo quella persona.
Impariamo innanzitutto, davanti a ogni minimo evento, a pensarci su, a girarcelo tra le mani e nel cervello fino ad estenuarlo in tutti i suoi particolari, facciamo una specie di viaggio di conoscenza, che trasforma un vissuto, anche passivo, qualcosa che ci è accaduto o che ci è stato detto dall’amata o amato, in un’esperienza che facciamo nostra a via di ragionarci e di trasformarla, diventa un patrimonio personale, una consapevolezza che ci appartiene. Ma questo passaggio da un vissuto che può essere passivo, a un’esperienza personale che è senz’altro attiva, in nostro possesso, non si ferma qui. Nella vicenda d’amore gli accadimenti si accumulano, le emozioni si espandono, cambiano, ci cambiano. Si parla molto – ci si racconta sempre alla persona amata e la narrazione muta mentre la si fa, non solo perché consapevolmente la abbelliamo, ma anche perché stiamo diventando altro da noi, l’amore ci potenzia e muta anche il nostro passato – si scoprono nuovi gesti o si danno significati nuovi a gesti usuali, si inventano magie quotidiane, simbolici affidati a un oggetto, a una parola, a una persona che non c’entra niente con noi, lei/lui e il nostro amore. Si costruisce il romanzo, la poesia e l’epica del sentimento amoroso e intanto impariamo, più o meno consapevolmente, più o meno intenzionalmente, quello che è importante per noi o lo sta diventando. E’ come se il mondo si ampliasse, quello esteriore, e quello interiore, come se il diaframma si aprisse a respiri più profondi, gli occhi a sguardi più limpidi e l’ascolto si affinasse.
Sto esagerando? Forse, ma certamente sono in buona compagnia, perché non solo la letteratura, la psicologia e la psicanalisi hanno attribuito grande importanza all’amore, ma anche la filosofia, quella contemporanea che ha superato la contrapposizione tra ragione e sentimento e ha riconosciuto le emozioni come possibilità di conoscenza e dunque l’amore, il sommo tra i sentimenti, certamente fonte di sapere e crescita.
Ma posso ancora andare avanti, sempre in buona compagnia, perché, se l’amore è maestro di conoscenza e ci indica ciò che è importante per noi, diviene anche maestro di valore e di morale, ci racconta – sempre che lo si voglia ascoltare naturalmente – quello che più ci sta a cuore, e questo modo di dire popolare non lascia adito a dubbi. Ciò che ha valore per noi nasce dalle valutazioni del cuore, più che dalla mente, la quale poi interviene, certamente, ma su materia già proposta dall’emozione, resa accessibile e a nostra portata dai sentimenti.
E poi l’amore ci rende buoni e buone, un ulteriore dono di questo sentimento. Chi è stato molto amato è persona migliore, più serena, più disponibile, più comprensiva: la rabbia, il livore, l’invidia appartengono soprattutto a quei soggetti deprivati in qualche modo e in qualche misura di quell’amore originario, materno o comunque proprio degli esordi alla vita, di cui ognuno ha bisogno. Amore originario che è cura, affetto, insegnamento: se siamo amati, a nostra volta impariamo ad amare. Ancora qualche passo in avanti. Poiché l’amore ci insegna ciò che è importante per noi, essenziale al nostro vivere e benessere, ci insegna un’altra cosa fondamentale: che noi siamo manchevoli, che siamo dipendenti, che abbiamo bisogno degli altri e delle altre, soggetti bisognosi e incompleti, una mancanza costitutiva del nostro essere umani che ci insegna la necessità di essere in relazione con cose e persone e che ci insegna quanto siamo fragili e vulnerabili.
E tutto ciò, quasi paradossalmente, ci rinforza, poiché insegna i limiti, le soglie che forse non possiamo superare o che possiamo, sì, ma al braccio di qualcuno che ci conduca o accompagni. Se l’amore allora, grande maestro, ci parla di un soggetto dipendente, mancante, incompleto, bisognoso di relazioni e consapevole di questa sua condizione, questo soggetto appare molto più vicino a un’immagine di femminile che di maschile. E si rovescia allora la tradizionale scala dei valori. Le donne, da sempre considerate inferiori per la loro condizione di dipendenza, appaiono ora i soggetti più intenzionali, più capaci di vivere il linguaggio delle emozioni e delle relazioni, di vivere l’amore con le opportunità che offre, con gli sviluppi di vita che consente, come un germogliare primaverile di nuove gemme e foglie, rami e fiori. Una strada che certamente non è sbarrata agli uomini, solo che se ne facciano protagonisti, un percorso che senz’altro conduce lontano dalla violenza.
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