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Donne immigrate e lavoro. Un rapporto non sempre facile

di Sonia Pozzi
lunedì 16 luglio 2018

Donne immigrate e lavoro di Deborah De Luca (Franco Angeli, 2018) rappresenta un importante tassello nella conoscenza della migrazione femminile. Il libro, infatti, combinando analisi di dati a livello europeo e interviste, pone al centro del discorso le donne immigrate, e mette in luce le criticità e le potenzialità della loro condizione rispetto alla questione lavorativa, evidenziando come la loro presenza o assenza nel mercato del lavoro sia dovuta sia a scelte personali sia a situazioni esterne.

L’autrice colloca così tutta l’analisi all’interno di un approccio teorico fino a ora poco utilizzato all’interno della sociologia delle migrazioni, che tiene in considerazione un continuum di variabili esplicative, che vanno dalla struttura della società all’aspetto dell’agire individuale. Questa analisi rappresenta il filo rosso della matassa che si dipana per tutto il volume, e tiene sempre in considerazione il fatto che le donne immigrate soffrano anche di un “doppio svantaggio” nel posizionarsi nel mercato del lavoro, lo “svantaggio” di essere immigrate e quello legato alle disuguaglianze di genere.

L’autrice analizza, in maniera comparata attraverso la lettura dei dati EU Silc (European Statistics on Income and Living Conditions) 2005-2014, la situazione delle donne immigrate nel mercato del lavoro italiano e in alcuni paesi europei – Spagna, Francia, Germania, Svezia e Regno Unito –, tenendo in considerazione la questione strutturale del lavoro nei diversi paesi, quindi i diversi mercati del lavoro, i diversi modelli di politiche lavorative, e come la crisi economica può aver modificato la presenza delle immigrate nel mercato, oltre che altri fattori importanti quali il livello di istruzione e la presenza di figli.

I fattori strutturali sono centrali anche nell’analisi dell’atteggiamento che le donne manifestano nei confronti del lavoro e della loro esperienza lavorativa, sebbene questi – atteggiamento ed esperienza – sembrino essere più associabili all’agire individuale. De Luca invece mette in evidenza come sulla modalità di pensare al lavoro e alla propria esperienza in questo ambito abbiano un ruolo fondamentale anche i vincoli familiari, la segregazione occupazionale e le reti sociali in cui le donne sono immerse (familiari, co-etniche, con la popolazione autoctona).

Uno dei vincoli maggiori alla possibilità di partecipare al mercato del lavoro e di avere lavori qualificati è, come anche per le donne autoctone, la presenza di figli minori. Sulla base di questa variabile, l’autrice unitamente alla cultura di appartenenza (che comporta, ad esempio, maggiore capacità di scelta decisionale autonoma) e al livello di istruzione, ha individuato diversi profili di donne lavoratrici: quelle vincolate e occasionali, la cui possibilità, di lavorare – con incarichi non regolari e poco qualificati – è pesantemente influenzata dalla presenza di minori e da vincoli familiari e culturali; quelle regolari, che pur in presenza di figli si inseriscono in un mercato del lavoro poco qualificato come quello domestico e della ristorazione; e quelle qualificate, numericamente inferiori, che riescono ad uscire dalla logica della segregazione occupazionale, facendo lavori anche maggiormente qualificati. Queste ultime categorie di donne immigrate lavoratrici sono anche quelle che danno al lavoro un significato di auto-realizzazione, oltre che economico.

Attraverso i risultati delle interviste fatte a donne di diverse provenienze e in diversi contesti geografici, il volume mette inoltre in evidenza il superamento di alcuni stereotipi. Mostra infatti come le donne possano essere le prime del loro nucleo d’origine a migrare, possano avere un ruolo centrale sia nel contesto lavorativo che nel contesto familiare e sociale, possano aspirare a lavori diversi da quello di cura – nel quale tuttavia sono inserite con una percentuale maggiore rispetto ad altri settori – e intraprendere anche carriere lavorative imprenditoriali.

L’autrice pone particolare attenzione alla possibilità e capacità delle donne immigrate di fare impresa, mettendo in luce come in questa opportunità siano presenti scelte e capacità di azione personali, ma giochino anche un ruolo le reti sociali in cui le donne sono inserite. Il libro mostra, prendendo di nuovo in considerazione le variabili legate all’etnia, alle reti sociali e al contesto familiare, come le donne immigrate utilizzino diverse strategie imprenditoriali.

L’autrice nota come dalle interviste alle donne immigrate emergano, oltre due strategie già individuate da Baycan-Levent nel 2010, cioè una strategia familiare e una indipendente, anche una strategia intermedia, definibile "a reti miste". Mentre le donne imprenditrici che utilizzano la prima strategia sono quelle maggiormente inserite in una nicchia etnica e diventano imprenditrici esclusivamente per migliorare le condizioni economiche e lavorative, le donne che utilizzano una strategia indipendente e a reti miste si distaccano invece dalla nicchia etnica, dai lavori tipicamente femminili e ritengono fondamentale l’aspetto dell’auto-realizzazione, puntando nella loro attività quotidiana soprattutto sull’aspetto della costruzione di una buona reputazione. Questo aspetto è centrale in particolare per le imprenditrici immigrate che utilizzano una strategia a reti miste, che danno importanza alla propria doppia appartenenza e alla cura alle reti diversificate.

Le reti sociali, soprattutto in ambito imprenditoriale, ma anche negli altri settori del mercato del lavoro – e più in generale della vita quotidiana – vengono inoltre analizzate dall’autrice in relazione alle forme di transnazionalismo, in particolare quello economico e culturale o legato all’impegno sociale. Il libro infatti dedica spazio e riflessioni a come le reti sociali possano facilitare anche l’agire transnazionale, utilizzato da parte delle donne immigrate imprenditrici in primis per le relazioni economiche, e quindi per ampliare e consolidare il proprio business.

Accanto a questo, tuttavia, viene evidenziato anche un – più recente – agire transazionale legato alla cultura e all’impegno sociale – diffusione della propria cultura di origine, impegni di volontariato verso i connazionali e non solo – che viene portato avanti in particolare dalle imprenditrici che utilizzano una strategia a reti miste. A dimostrazione del fatto che queste donne non sono solo protagoniste attive nel mondo del lavoro ma anche nell’ambito della vita sociale e quotidiana, uilizzando attività che vanno oltre la propria impresa, per ampliare e consolidare le proprie reti sociali e dare forza e importanza alla loro attività dentro e fuori dai confini nazionali.


In risposta a:

Donne immigrate e lavoro. Un rapporto non sempre facile

18 luglio 202110:34, di Ammy Ammy
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