Da ormai 3 anni il movimento femminista e transfemminista in Italia e nel mondo è potente e in costante trasformazione. Esprime radicalità condivisa, autonomia e radicamento nei territori e si afferma come spazio di costruzione di alternativa e motore di conflitto permanente e intersezionale contro la violenza.
La fase politica attuale è segnata da un’avanzata autoritaria e reazionaria e dalla saldatura tra le politiche neoliberiste e l’ordine patriarcale e razzista. In Italia, come nel mondo, l’attacco ideologico in atto ha pesanti ricadute materiali. In questo contesto il movimento femminista globale apre lo spazio di un grande processo di soggettivazione politica ma anche di ricomposizione.
Lo Stato di agitazione permanente lanciato a Bologna durante l’assemblea nazionale di Non Una di Meno del 6-7 ottobre è rapidamente diventato un dispositivo potente di mobilitazione e di moltiplicazione delle lotte nei territori. È un processo di opposizione alle politiche sessiste e razziste del governo che non disperde, ma anzi potenzia la capacità affermativa, produttiva e trasformativa della presa di parola femminista e transfemminista. Un’opposizione che pratichiamo e che continueremo a praticare a partire dall’elaborazione collettiva costruita in questi 3 anni e concretizzata nel Piano Femminista che ha anticipato le risposte alle politiche patriarcali, razziste, neoliberali e securitarie, del governo giallo verde. Un’opposizione che, proprio grazie all’analisi e alle proposte che avanziamo, mette in luce sia le continuità con i governi precedenti che le radicalizzazioni e le oppressioni portate avanti da questo esecutivo.
A partire dal Piano Femminista costruiremo lo sciopero femminista dell’8 marzo e daremo corpo e sostanza alle rivendicazioni e alle battaglie aperte contro il Ddl Pillon, il decreto Sicurezza, il reddito di cittadinanza, l’attacco all’aborto libero, sicuro e gratuito. Lo sciopero sarà politico e globale, darà voce a chi si oppone con tutte le sue forze alle politiche reazionarie che in ogni parte del mondo cercano di schiacciare chi quotidianamente lotta contro la violenza di questa società.
Come movimento femminista sveliamo la relazione tra il razzismo istituzionale e la violenza sulle donne, frutto di uno stesso paradigma e risultato della saldatura tra destra di governo, neofascisti e fronte cattolico pro-life che passa anche attraverso le mozioni antiabortiste proposte nei consigli comunali. Anche in questo caso non ci limitiamo a reagire contro le pretese della Chiesa sui nostri corpi ma riaffermiamo la nostra autodeterminazione rivendicando molto più di 194.
Costruiamo reti solidali e pratiche efficaci contro le molestie e le discriminazioni sui posti di lavoro, contro il ricatto della precarietà e della dipendenza economica. Rivendichiamo reddito di autodeterminazione, salario minimo europeo e welfare universale contro le misure economiche e sociali del governo. Rivendichiamo la varietà delle nostre reti affettive contro l’eteronormatività del decreto Pillon. Rivendichiamo la possibilità per tutte di muoversi e di restare: contro la violenza dei confini e il ricatto della clandestinità rivendichiamo un permesso di soggiorno europeo, il diritto di asilo e la cittadinanza senza condizioni. Rivendichiamo la libertà da stereotipi, condizionamenti e ruoli sociali imposti, costruiamo spazio pubblico femminista nelle città, sui media, nelle scuole e nelle università.
Riaffermiamo l’arma dello sciopero femminista – sciopero dal lavoro produttivo e riproduttivo, sciopero dai e dei generi, sciopero dal lavoro sessuale, sciopero ecofemminista e del consumo – come processo di attivazione politica e sociale per le donne ma anche per tutte le soggettività precarie, migranti, trans*, lesbiche, e chiunque non si adegua ai modelli di sessualità dominanti. Rilanciamo la forza collettiva dello sciopero anche come possibilità di sperimentazione di tempi di vita diversi, e pratiche di condivisione e liberazione.
Intendiamo lo sciopero come uno strumento da reinventare per essere all’altezza di questi percorsi e di queste pratiche.
Bloccare produzione e riproduzione sociale significa scioperare nei luoghi di lavoro, nelle relazioni di cura ma anche radicarsi nei territori, significa preparare lo sciopero stando in piazza nei momenti decisivi con la forza delle nostre parole e delle nostre pratiche.
Proprio per costruire lo sciopero è stata individuata l’esigenza di articolare in modo diffuso spazi di elaborazione e confronto sulle pratiche (case dello sciopero), per organizzare lo sciopero, per immaginare insieme forme efficaci e concrete di astensione dal lavoro autonomo, informale, gratuito e riproduttivo, strategie di sottrazione dal ricatto del permesso di soggiorno e della precarietà attraverso la costruzione di casse di mutuo soccorso altre pratiche di solidarietà, cosi come luoghi e strumenti di alfabetizzazione sindacale sul diritto di sciopero (anche riprendendo vademecum, grafiche e video). A tal fine ci proponiamo di costituire un gruppo di lavoro e di raccordo tra le assemblee territoriali che si occupi praticamente di informare e supportare le lavoratrici che vorranno scioperare.
A partire dalla consapevolezza che lo sciopero è un diritto delle lavoratrici, la convocazione dello sciopero generale parte da noi e da questa assemblea: lanceremo lo sciopero con un appello potente che a partire dal lavoro femminile e femminilizzato interpella tutti quei soggetti che si oppongono alla violenza maschile e di genere, alla precarietà e al razzismo. Convochiamo lo sciopero dell’8 marzo a partire dalla forza accumulata in questi tre anni di mobilitazione, dallo stato di agitazione permanente espressa nei territori e nella marea femminista. Con questa forza e determinazione costruiamo lo sciopero e il confronto con i sindacati, nel segno della riappropriazione di uno strumento di lotta da parte delle lavoratrici, che apre contraddizioni anche interne ai sindacati stessi. Affermiamo la necessità, quindi, che i sindacati si facciano strumento di un processo di opposizione e costruzione di alternativa che parte dai soggetti e li veda protagonisti al di là delle organizzazioni e delle strutture sindacali.
In questa ottica incalziamo i sindacati perché sappiano mettersi al servizio dello sciopero femminista, garantendo la possibilità concreta di praticarlo in ogni settore produttivo. Cogliamo, quindi, l’invito al congresso della Fiom, come occasione per porre alle lavoratrici che saranno presenti lo sciopero come proposta politica da sostenere in forme non simboliche ma effettive.
Si mette a verifica la possibilità di costruire un meeting internazionale sullo sciopero globale delle donne che ci dia la possibilità di un confronto politico anche sulle pratiche e sul processo della sua costruzione, creando le condizioni di un rafforzamento della rete oltre i confini nazionali.
Il meeting internazionale potrà anche essere l’occasione per un ulteriore confronto anche nazionale, che incornici la nostra iniziativa nel quadro globale.
Ci volete sottomesse, ricattate e sfruttate, noi scioperiamo!
La marea che sale e arriva ovunque traboccherà l’8 marzo. Saremo tempesta… Non Una di Meno
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