L’associazione francese “Femmes Solidaires” mi ha invitata ad intervenire ad un dibattito su “Femmes et Rev-olution” che si è tenuto a Parigi all’interno della festa de “L’Humanitè” domenica 18 settembre.
Oltre a me sono intervenute Aounicha Bakti, algerina, Serenade Shafiq, egiziana, Nadia Chaabane, tunisina. L’incontro è stato coordinato da Sonia Messaoudi di Femmes Solidaires.
E’ stato molto interessante ascoltare i punti di vista delle amiche arabe che spiegavano, con passione, la portata storica degli eventi che stanno cambiando la geografia politica e sociale dei paesi del Magreb. E nel contempo confermavamo la grande partecipazione delle donne a queste trasformazioni.
Sono emerse anche le differenze fra le varie manifestazioni. Differenze di non poco conto.
In Egitto si è sottolineata la forte presenza di di partiti, sindacati ed associazioni, cioè di soggetti organizzati mentre in Tunisia sono stati soprattutto le e i giovani, senza organizzazioni alle spalle a scendere in piazza, per esigere diritti e dignità. In Algeria l’obiettivo è difendere e mantenere la democrazia e la repubblica. Bakti, Chaabane e Shafiq hanno invitato a considerare quello che sta avvenendo come l’inizio di un processo che si prefigura di lunga durata perché la democrazia non è solo “scacciare il tiranno” ma la costruzione collettiva di una cittadinanza piena che si fondi sull’eguaglianza, sulla dignità, sulla giustizia sociale.
Tutte e tre le amiche arabe hanno poi messo in luce la difficile condizione delle donne. In Egitto sono bersaglio di violenze domestiche tanto che la percentuale delle uccisioni per mano dei mariti è altissima. Quando lavorano guadagnano, se va bene, 2 euro al giorno ed il numero di donne povere che vivono per strada ha proporzioni da piaga sociale. In Algeria si può parlare, a detta di Bakti, di “primavera eterna” nel senso che in Algeria la democrazia c’è. E’ però una democrazia che va costantemente difesa e sostenuta perché il rischio di una regressione è sempre presente, in particolare per le donne. Chaabane ha tenuto a sottolineare che anche in Lidia le donne sono attivamente impegnate nella cacciata del dittatore. Per quanto riguarda la Tunisia si può parlare di una “rivoluzione della dignità” dentro la quale le donne hanno fatto sentire la loro voce , chiedendo soprattutto parità a tutti i livelli.
C’è però un filo”rosa” presente in tutte le differenti “rivoluzioni” che fa molto riflettere e che interroga anche noi, donne femministe occidentali. Le donne partecipano in tante e con convinzione ma , se possiamo dire così, con scarsa “coscienza di genere”, nel senso che non vengono messi in discussione i rapporti di potere fra i sessi né si sono definite rivendicazioni specifiche a partire dalla condizione, materiale e simbolica, delle donne stesse. In particolare sulla laicità, permangono, soprattutto in Tunisia, alcune ambiguità di fondo. Ha fatto molto discutere l’affermazione di Chaabane secondo la quale andrebbe evitato di “importare” in Tunisia il modello di laicità “alla francese” (così l’ha definito) perché secondo lei non si tratta di affermare una separazione fra Stato e Chiesa quanto fra sfera pubblica e sfera religiosa . Con il rischio che, nell’artificiosa distinzione fra “pubblico” e “privato”, si finisca col garantire al potere religioso un maggior spazio d’azione.
Come spesso è successo nella storia, dunque, le donne si mettono generosamente “a servizio” della causa comune lasciando in secondo piano le proprie specifiche rivendicazioni, concetto sottolineato particolarmente dall’egiziana Shafiq. E questo è evidentemente un problema politico di notevole spessore.
Ci sarebbe un gran bisogno di rilanciare , in Europa come nel Magreb , una comune prospettiva femminista in grado di sollecitare le donne a ri-agire un sano conflitto e a rimettere in gioco noi stesse a partire dai nostri desideri, bisogni, diritti, speranze, sogni. E’ stato questo che ho cercato di dire nel mio intervento. Le donne, in ogni epoca storica e in tutti i modi possibili, hanno desiderato e lottato per la propria emancipazione, non rassegnandosi ad essere considerate “secondo sesso”. E’ però grazie al femminismo , come pensiero e movimento, che si è potuto svelare il sistema di potere che “governa” i rapporti fra i sessi e determina l’inferiorizzazione del genere femminile. “Io sono mia”, “Il mio corpo mi appartiene” ,“il personale è politico” sono state le affermazioni più rivoluzionarie che il nostro pianeta abbia ascoltato perché hanno rimesso in discussione i “poteri” più antichi ( la sessualità, la riproduzione biologica, il modello di famiglia) su cui si sono strutturati altri poteri che hanno a che vedere con il modello di produzione, di società e di rapporti sociali.
Nel declino del mondo occidentale, nella scomposizione della geografia sociale e politica a livello mondiale, nella crisi economica di sistema e nel prepotente riaffacciarsi di fondamentalismo non solo religioso, per le femministe di tutto il mondo ci sarebbe molto da dire e da fare. Forse, ci siamo dette a Parigi, dovremmo crederci anche noi per davvero. Se non ora quando?
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