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Spirito, natura e ragione. Ecco il credo di un laico

di Piergiorgio Odrifreddi
martedì 27 settembre 2011

Alla fine del nostro confronto, lei, caro papa Ratzinger, sa ormai che il suo non è un Credo che possiamo condividere, né che io possa professare. Ma cosa dunque potrei professare, se proprio volessi pregare? In conclusione, prima dei commiati, cercherò brevemente di riassumere la mia posizione, sfrondandola degli argomenti che ho portato a suo sostegno, e cristallizzandola appunto in una forma il più possibile parallela al suo Credo, benché opposta nella sostanza. Così facendo manterrò, da un lato, un legame formale con la tradizione occidentale, che ha aderito fino al Medioevo e al Rinascimento alle formule della professione di fede che abbiamo appena finito di commentare. Ma, dall´altro lato, opererò una cesura sostanziale col contenuto di quelle stesse formule, che a partire dall´Era Moderna e Contemporanea sono state sempre più identificate come l´espressione di una fede sorpassata filosoficamente, inadeguata storicamente e sbagliata scientificamente. Nello stilare il mio Credo mi schiererò allo stesso tempo a favore del realismo scientifico e storico, che accetta tutto ciò che c´è, o è accaduto, e contro l´illusionismo fantascientifico e fantastorico, che indulge in ciò che non c´è, o non è mai accaduto. Anche se, come d´altronde non fa neppure il Credo originale, non tenterò di completare il mio Credo positivo con un suo complemento negativo, che pretendesse di enumerare e specificare in dettaglio ciò in cui non credo. (…) Se dunque proprio volessi adattarmi a parlare il suo linguaggio e decidessi di professare anch´io la fede in un solo Dio, che mi trascende e mi sovrasta, ai voleri del quale volessi e dovessi inchinarmi, e che potessi adorare e amare, questo sarebbe la Natura, che tutto genera da sé e per sé. Così come, se decidessi di avere un solo Signore e Salvatore, questo sarebbe l´Uomo o l´Umanità. Da ritenere non il metaforico primogenito della Natura, col diritto biblico di "soggiogare la terra e dominare su ogni essere vivente" (Genesi, 1, 28), ma il letterale ultimogenito, col dovere naturale di rispettare e preservare l´ambiente e tutte le altre forme di vita. E, soprattutto, da considerare come un´entità superiore agli individui che la compongono, e della quale gli uomini dovrebbero chiedersi costantemente che cosa possono fare per essa, invece di limitarsi a pretendere soltanto che l´Umanità e la Natura facciano qualcosa per loro. Ma questo duplice "materialismo umanistico" e "umanesimo materialista" sarebbe un ben misero sostituto della religione, se non fosse accompagnato da una fede non solo nella Natura e nell´Uomo, ma anche nello Spirito che si manifesta nella coscienza che noi abbiamo del mondo e di noi stessi. Uno Spirito puramente immanente, che procede dalla Natura e dall´Uomo, e che noi giustamente consideriamo una nostra caratteristica tanto costitutiva, da arrivare a commettere spesso due complementari errori di sopravvalutazione al suo riguardo. Ritenendolo, da un lato, trascendente, invece che emergente. E, dall´altro lato, necessariamente umano, invece che legato soltanto alla complessità di un sistema: in particolare, già attualmente presente in altri animali superiori, e potenzialmente anche nelle macchine in generale, e nei computer in particolare. Come uomini, però, a noi interessano soprattutto il nostro Spirito e le sue conquiste: prima fra tutte, la sorprendente scoperta che la Natura non è caotica, come ci si sarebbe potuto aspettare, bensì ordinata. E che il suo ordine non appare soggettivamente imposto dall´Uomo, come quello alfabetico delle parole di un linguaggio. Bensì risulta oggettivamente intrinseco alle cose, come quello matematico degli oggetti aritmetici o geometrici, o quello logico dei ragionamenti. Nella Natura si manifesta dunque un ordine universale, che si chiama Logós in greco, Ratio in latino e Ragione in italiano. Il che ci permette di dare un senso letterale al versetto metaforico del Rig Veda, poi annesso dal versetto 1,1 di Giovanni: "in principio era la Ragione, e la Ragione era presso Dio, e Dio era la Ragione". Intendendo, naturalmente, per "Dio" la Natura. Analogamente possiamo interpretare il versetto 1,14: "la Ragione si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi", intendendolo nel senso che la ragione umana è uno dei modi in cui la Ragione cosmica si manifesta nell´ordine della Natura. Essendone una manifestazione, essa partecipa della Sua essenza. E può percepirne altre analoghe manifestazioni, che esprime in quelle leggi di Natura, la cui ricerca e scoperta costituiscono gli scopi primi e ultimi dell´impresa scientifica. Ma essendone appunto soltanto una manifestazione, la ragione umana trova nella Ragione cosmica una trascendenza che la sovrasta, e al cospetto della quale non può che percepire la propria limitatezza. Il cerchio aperto dalla mia riformulazione laica del Credo si chiude dunque con la scoperta che non soltanto le parole della sua professione di fede possono essere reinterpretate sensatamente. Ma che anche l´esperienza religiosa trova una sua sublimazione nel sentimento che l´Uomo arriva a provare di fronte alla Natura attraverso la mediazione dello Spirito, e più specificamente di quella sua quintessenza che è la Ragione. Si arriva così a una "vera religione", profonda e intellettuale, che gli scienziati da Pitagora ad Einstein hanno da sempre professato, e di cui le religioni istituzionali costituiscono soltanto superficiali caricature. Di qui i motti che esprimevo, forse in maniera un po´ provocatoria, fin dagli inizi della mia opera divulgativa in Il Vangelo secondo la scienza. Da un lato, che la matematica e la scienza sono l´unica vera religione, il resto è superstizione. E, dall´altro lato, che la religione è la matematica, o la scienza, dei poveri di spirito. Anche questa "vera religione" ha i suoi misteri, che si manifestano anzitutto nell´astratta e stupefacente constatazione che l´Uomo può comprendere qualcosa della Natura. E poi, nei concreti e stimolanti problemi scientifici che ancora non hanno trovato soluzione definitiva: primi fra tutti, le origini dell´universo dal vuoto, della vita dalla materia inanimata, e della coscienza dai primati superiori. Al confronto di questi veri misteri, ancora una volta quelli delle religioni, dai dogmi ai miracoli, non appaiono che misere caricature, buone soltanto per coloro che credono appunto che "beati sono i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei Cieli" (Matteo, 5,3). Io preferisco credere invece che beati siano i ricchi di Spirito, perché di essi è la repubblica della Terra. Quanto alla mia professione di fede, è dunque così che enuncerei il mio Credo laico. Come promesso, sulla falsariga del suo: "Credo in un solo Dio, la Natura, Madre onnipotente, generatrice del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, l´Uomo, plurigenito Figlio della Natura, nato dalla Madre alla fine di tutti i secoli: natura da Natura, materia da Materia, natura vera da Natura vera, generato, non creato, della stessa sostanza della Madre. Credo nello Spirito, che è Signore e dà coscienza della vita, e procede dalla Madre e dal Figlio, e con la Madre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti dell´Intelletto. Aspetto la dissoluzione della morte, ma non un´altra vita in un mondo che non verrà".


In risposta a:

Spirito, natura e ragione. Ecco il credo di un laico

13 marzo 201816:03, di johndd110
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