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Laicità ,sussidiarietà, sistemi pubblici di servizi alla persona.Le nostre analisi, idee, proposte

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martedì 13 marzo 2012

Come assessora alle “politiche sociali” dal 2005, ora all’inizio del secondo mandato, in questi 7 anni ho potuto osservare l’immettersi sulla scena sociale di fenomeni importanti che hanno avuto ricadute significative e concrete sul sistema di protezione sociale, soprattutto a livello dei territori. In questi anni sono stati affrontate tematiche sociali importanti come l’immigrazione, l’invecchiamento della popolazione (con la problematica forte della non autosufficienza), i mutamenti che stanno attraversando “l’istituto della famiglia”, il progressivo impoverimento della popolazione, accanto all’emergere di fenomeni riguardanti l’estrema povertà. Oggi, però, la crisi ed i suoi effetti, producono lacerazioni e trasformazioni nel panorama sociale, tali da far dire a molti che “niente, nel breve periodo, sarà più come prima”. Niente sarà più come prima, perché le trasformazioni in campo economico, sociologico e sociale, stanno ridefinendo il sistema di protezione sociale, cioè il quadro delle risposte ai bisogni espressi dalle persone. Le trasformazioni implicano: • nuove regole di governo del sistema • nuove organizzazioni (es. fondazioni bancarie; aziende) accanto alle vecchie • una ridefinizione dei ruoli e delle responsabilità che verranno ricoperti dal “pubblico”, dal “privato sociale”, dal “privato profit”.

Stiamo assistendo a un cambiamento radicale del sistema di protezione sociale: è questo il nodo che voglio affrontare. Dal mio osservatorio, mi sento di poter affermare che non siamo più in presenza dello “stato sociale “ così come l’abbiamo conosciuto ed è stato costruito a partire dagli anni settanta. I processi di destrutturazione sono molto avanzati e se come Ife vogliamo cercare di capire cosa sta avvenendo dobbiamo avere l’accortezza di sviluppare conoscenza e analisi. Diversamente rischiamo di non avere gli strumenti adeguati per stare dentro i processi di cambiamento, non per allinearci, ma per fare pensiero e mettere in campo pratiche autonome. Il rischio che intravedo, se non ci si mette nell’ottica di osservare e studiare i cambiamenti radicali in atto, è di restare ancorate a valori culturali e ideologici importanti ma che non trovano più riscontro con i processi reali. Quando si è prefigurato di far saltare questo incontro, ho provato a dire di farlo ugualmente, con un taglio meno seminariale, ma di farlo comunque, perchè penso davvero che ci sia il bisogno di fermarsi ad approfondire, ad analizzare per saper cogliere i cambiamenti sociali e le dinamiche che ne sottendono. Penso che oggi si possa aprire un percorso di ricerca, con il compito di riprocessare, riconiugare i significati di: • sistema pubblico di servizi alla persona • sussidiarietà e di come ricollocare in un nuovo panorama, il tema della “laicità” Per esempio: cos’è oggi la sussidiarietà per noi? Possiamo fermarci a declinarla ed aggredirla dal punto di vista del pensiero, sulla scorta delle nostre analisi degli ultimi 10-15 anni, analisi (per chi vive in Lombardia assolutamente puntuali) che sono state costruite come critica al sistema sussidiario portato avanti da Formigoni? Oppure dobbiamo “rileggerla” alla luce dello stato di avanzamento del degrado del sistema di protezione sociale a cui siamo arrivati. Anche la questione, per noi centrale, del ruolo dello Stato quale responsabile ed erogatore del sistema di welfare, va messa al centro della nostra riflessione. Dobbiamo sviluppare la capacità di tenere insieme il portato del nostro pensiero politico con l’analisi della realtà. A mio avviso, alla luce dei forti cambiamenti avvenuti in campo legislativo, nelle scelte di riduzione del welfare, assume rilevanza il porsi la domanda: il processo reale che trasforma le cose, nel qui e ora, dove sta andando? Perché è lì, dentro ai processi reali che io penso di dover stare, con la fatica di non perdere il mio pensiero. Che ci piaccia o no, oggi, siamo già oltre allo “Stato Sociale” così come lo abbiamo conosciuto. Io dico purtroppo, ma le condizioni economiche e generali della produzione stanno comportando cambiamenti strutturali nella società. Tutte noi che siamo qui oggi, siamo impregnate della cultura degli anni 60-70. Schematicamente ( solo per tracciare la linea del ragionamento) faccio presente che il modello della società a cui noi siamo appartenute e della cui cultura ci siamo nutrite, è stato governato dall’attrattore produttivo “fordista/ taylorista”. Gli economisti ed i sociologi che hanno riferimenti di classe, ci spiegano che i “modelli della produzione” informano di sé la società. Per cui, il modello produttivo “fordista/taylorista” ha conformato a suo modello, l’organizzazione urbana, la cultura, la scuola, il sistema di protezione sociale. Per quest’ ultimo (anche qui schematicamente) possiamo vedere come il modello lineare “della catena di montaggio” abbia avuto sul piano del welfare lo sviluppo dei servizi che veniva dichiarato “dalla cura alla bara” . Il tutto sostenuto da un processo produttivo che tirava e che quindi sosteneva economicamente questo processo. In questa condizione il ruolo dello Stato era forte e centrale, sia come erogatore che come regolatore del sistema di protezione sociale, sistema basato (per le condizioni economiche date) sul salario diretto, sociale e differito. Questa organizzazione e la condizione economica che l’ha supportava ha permesso di mettere al centro delle rivendicazioni sindacali: il diritto alla scuola pubblica, alla casa, alla pensione, ai servizi sanitari e sociali. Noi abbiamo respirato ed agito questo tipo di cultura e siamo ancorate/i a questo modello, ma dobbiamo prendere atto che oggi siamo in tutt’altra condizione. L’attrattore produttivo è cambiato. Siamo in presenza di un modello a rete/informatizzato e sul piano economico domina la finanziarizzazione. Se manteniamo il ragionamento che “esiste una connessione tra le questioni economiche e l’organizzazione della società, essendo oggi in presenza di processi economici del tutto differenti possiamo presto vedere come l’organizzazione della società si sia modificata (globalizzazione, flussi, reti) e come già sul piano culturale, delle relazioni sociali, dell’organizzazione delle città, siamo intrise/i di questa nuova cultura (guardiamo solo i nostri modi e la nostra capacità di comunicare attraverso i sistemi informatici). Penso che sia alla luce di questi cambiamenti che dobbiamo sviluppare la nostra riflessione sul modello di protezione sociale che si sta sviluppando oggi in Italia, avendo ben chiaro che siamo in un periodo in cui le classi più deboli (ma ormai anche il ceto medio) hanno subito una sconfitta pesantissima. Quello che si osserva oggi:
- non c’è più una centralità dello Stato come erogatore di servizi e del sistema di protezione sociale. C’è stata una destrutturazione del sistema centrale a partire dalla modifica del Titolo V della Costituzione (regionalizzazione di alcune competenze in materia sanitaria, sociale…) per arrivare alla destrutturazione più ampia che ha riguardato la titolarità della gestione centrale, con l’introduzione della logica della sussidiarietà nella gestione dei servizi (cooperazione sociale, associazionismo no profit, ecc). Già oggi, quindi, siamo in presenza di “erogatori”, “regolatori del sistema di servizi” differenti
- è saltato (ci sono ancora forme che però sono residuali nel panorama dell’organizzazione del lavoro) lo schema del “salario complessivo” ,nelle sue forme del salario: diretto, sociale, differito. La logica per cui “pago le tasse per avere in cambio i servizi diretti o differiti ” è in parte saltata. Oggi, sempre di più, si pagano le tasse per contenere/sanare il debito pubblico
- è drammaticamente diminuita la base materiale sui cui poggiava il sistema di protezione sociale: sempre meno sono i garantiti. Quindi il sistema di welfare che noi conosciamo, rischia di non avere più il pavimento su cui poggiare. Il rischio reale è che, nel breve periodo, assumerà rilevanza il solo elemento del salario diretto e questo sta a significare che il sistema sociale che si prefigura sarà usufruibile da parte di chi avrà un reddito per accedere ai servizi. Sempre di più si pagherà per la sanità, per i servizi sociali, ma anche per la scuola,ecc. Ma a chi non ha un reddito sufficiente o non avrà reddito cosa succederà? E qui, in questo ambito che dobbiamo interrogarci e sviluppare conoscenze/analisi per capire:
- quale ruolo giocherà l’Europa nel processo di destrutturazione del sistema di welfare
- quale ruolo residuale dello Stato
- quale ruolo sussidiario e a carico di chi? Con che modalità?
- quale ruolo dei territori Senza alcuna pretesa di scientificità, ho cercato di porre alcune questioni che ritengo fondamentali. La domanda che sempre più mi pongo (dal lato dell’osservatorio privilegiato in cui mi trovo oggi di osservazione delle dinamiche sociali) è : quando parliamo di Stato Sociale, possiamo ancora ragionare con le medesime categorie di pensiero, con gli elementi culturali del modello produttivo e soprattutto economico precedenti?

Alcuni dati per cercare di capire cosa sta succedendo nel panorama de welfare • Con le due manovre finanziare del 2011, per il sistema delle autonomie locali, (comuni, province, regioni) tra il 2011 e il 2014 sono previsti tagli per più di 40 miliardi: 12 miliardi in meno ai comuni, 2,8 alle province, 27 alle regioni (sanità). A questi si aggiungono i tagli prodotti dalle nuove manovre del governo Monti, a cui va aggiunta la mannaia del patto di stabilità che mette in ginocchio tutti i comuni. • A queste manovre dobbiamo aggiungere i tagli già operati ai Fondi nazionali per le Politiche Sociali/familiari/giovanili. Alcuni esempi
- fondo nazionale politiche sociali: nel 2001 erano 1071 milioni di euro, nel 2012 saranno 70 milioni. Quindi sono spariti 1 milione di euro per le politiche sociali, quelle che per la legge 328 della Livia Turco andavano ai comuni e al terzo settore per i piani di zona
- fondo nazionale non autosufficienza: negli anni 2009-2010 erano 400 milioni annui, nel 2012: 0. E questo a fronte del problema da tutti riconosciuto dell’invecchiamento della popolazione
- fondo di sostegno alla famiglia: nel 2008 c’erano 330 milioni, nel 2012 solo 53
- fondo per l’inclusione e per l’immigrazione: nel 2008 c’erano 100 milioni, per il 2012: 0. Anche qui con il tema dell’immigrazione quale fenomeno importante per l’Italia Capite bene che i dati ci restituiscono immediatamente che niente è più come prima, noi non possiamo pensare che il sistema di protezione sociale stia in piedi con queste caratteristiche.

• in più in parlamento c’è una proposta di legge delega per tagliare ulteriori 20 miliardi di euro: se la legge dovesse passare così come è formulata, salteranno le indennità di accompagnamento, l’invalidità civile, le pensioni sociali e le pensioni minime. Per ora è rimasta ferma per la grossa protesta delle organizzazioni sociali che si occupano di questi temi

• altro elemento peggiorativo della situazione riguarda il “fiscal compact”, cioè il pareggio di bilancio in Costituzione deciso a livello europeo ( Monti ha detto che finalmente siamo arrivati a decidere in Europa che i bilanci dello stato devono chiudere in pareggio). In Italia abbiamo oggi un debito pubblico per il quale si devono pagare interessi che ammontano al 120% rispetto al sul pil. L’obiettivo deciso a livello europeo, utilizzando la formula del pareggio di bilancio è di portare il deficit di tutti gli stati al 60% rispetto al pil entro i prossimi 20 anni. Con il cambio della costituzione, introducendo il pareggio di bilancio si dovranno tagliare ulteriori 40 miliardi all’anno. Se pensate che le spese statali per la sanità e per il sociale ammontano a 170 miliardi all’anno, facendo una manovra come quest’anno di 45-50 miliardi, alla quale vanno aggiunti altri tagli per 40 miliardi per star dentro al pareggio di bilancio, si rischia, nel giro di 2-3 anni, di non avere più concretamente lo stato sociale.

Queste cifre e questo ragionamento servono per dire che noi non possiamo più pensare di ragionare senza tenere in considerazione i processi reali. Dobbiamo capire, anche per fare proposte, che c’è in atto una distruzione vera, concreta dello stato sociale. Il rischio paventato a seguito del Libro Bianco dell’ex ministro Saccono, di andare verso un welfare caritatevole e residuale nel giro di pochi anni è alle porte. Sacconi diceva che ci sarà solo volontariato e beneficenza.

Ma anche questo traslare i compiti dal pubblico al privato sociale attraverso la sussidiarietà orizzontale, la cooperazione sociale, non regge più. Lo vedo dall’interno come assessora, ormai anche il privato sociale salta, perché se non ci sono i soldi per i comuni, come è possibile tenere in piedi un sistema sussidiario. Forse solo a pagamento e solo per pochi. Di fronte a quello che sta succedendo possiamo anche dirci che è stato utilizzato il privato sociale, anche in termini ideologici, per destrutturare il sistema dei servizi, ma il problema che abbiamo davanti a noi è come declinare oggi il tema della sussidiarietà e di una laicità dei servizi in questo nuovo panorama. Cambiando lo scenario così radicalmente, io penso che sia difficile per noi dire “lo stato deve fare…” . Penso che dobbiamo sostenere questo sul piano dell’azione politica come orizzonte a cui tendere, ma allo stesso tempo abbiamo la necessità di star dentro ai processi reali.

Alcuni dati e piste di riflessione a partire dall’esperienza a Lodi, come contributo alla discussione, anche in relazione al fatto che IFE di Lodi partecipa ai lavoro della “Consulta comunale delle famiglie”. L’istituto familiare è attraversato da forti cambiamenti, nei fatti vediamo il passaggio dalla famiglia allargata alla famiglia nucleare. A Lodi abbiamo qualcosa in più di 20.000 famiglie, di queste
- 7.160 hanno un solo componente (il 36%)
- 5.830 con due componenti
- praticamente il 65% delle famiglie di Lodi è fatto da una o due persone. Mi riferisco alla città di Lodi, ma questi dati rispecchiano il panorama italiano. Quindi: di quale famiglia parliamo oggi? E’ questo è un dato importante su cui dobbiamo interrogarci. Solo il 19% delle famiglie di Lodi ha 3 componenti, il 12% ne ha 4, il 3% ne ha 5 e solo l’1% ha più di 5 persone. Quindi, sostanzialmente, facciamo riferimento ad un tipo di famiglia che non ha più i contorni di quella tradizionalmente allargata, con una rete parentale a sostegno. Un primo punto di riflessione che ci riguarda rispetto al tema sul quale abbiamo deciso di interrogarci è quello di come coniugare una forma di “sussidiarietà laica in un panorama di allentamento delle reti familiari, delle relazioni sociali e in una epoca di affievolimento di servizi alla persona”. Un altro tema che ritengo importante è come ci mettiamo nei confronti di una politica regionale, formigoniana, che vuole chiedere alle famiglie, anche al 65% di quelle che hanno un solo componente o al massimo due, di essere sussidiare, nella sola accezione di essere sostitutive di un servizio sociale o socio-sanitario. Come costruiamo il pensiero, ma soprattutto l’agire per opporsi alla richiesta di sussidiarietà se sei nella condizione di essere una madre sola con figlio/a o un anziano non autosufficiente? Secondo i dati ufficiali nel 2050 diventeremo insieme al Giappone, il paese più anziano di tutto il mondo. Cosa significa per noi, in un contesto economico e sociale come quello che ho tentato di descrivere, il tema della sussidiarietà a fronte dell’affievolirsi del ruolo sussidiario giocato nel tempo dalle famiglie? Un altro dato importante che volevo portare a contributo della riflessione è che nascono pochi figli. A Lodi ormai da circa 10 anni si registra un saldo naturale negativo, significa cioè che ci sono più morti rispetto alle nascite. L’altro fenomeno importante è che su circa 393 nuovi nati, 101 sono bambini/e nati in Italia da famiglie straniere e ben 91 a Lodi città. Cambia, quindi, il volto delle famiglie. Pertanto quando parliamo di sussidiarietà e laicità dobbiamo aver presente il tema del dialogo interculturale. Un altro fenomeno importante che stiamo affrontando riguarda la relazione con le cosiddette “seconde generazioni” che costituiscono una platea sempre più vasta di ragazzi e ragazze giovani che spesso sono portatori/portatrici di culture altre o che stanno a metà. Sempre rispetto alle famiglie c’è un dato importante che va tenuto in considerazione: il loro progressivo impoverimento. La perdita di lavoro o la non possibilità di lavoro, produce un impoverimento che non vuol dire solo diventare poveri nell’accezione delle politiche sociali vere e proprie. Se sei l’unico sostegno della famiglia o hai il mutuo da pagare, può succedere che a cascata, si possa perdere la casa, si possono rompere i legami familiari, si può entrare nel circuito della depressione. Al servizio sociale stanno arrivando famiglie normalissime, non abituate ad andare a chiedere, con debiti molto alti ( 8-10-20 mila euro). Per far fronte a questo disastro stiamo cercando accordi con il Tribunale, la Prefettura, l’Aler e stiamo aiutando le famiglie sfrattate con fondi per aprire nuovi contratti di affitto. Più sul versante delle dinamiche interne alle famiglie, stiamo osservando un aumento spaventoso delle separazioni e dei divorzi nel primo anno, massimo secondo anno di matrimonio (dati confermati sul piano nazionale dall’Istat). Soprattutto quando nasce il primo figlio la coppia va in crisi. Registriamo anche, sulla base dei dati forniti dal centro psicosociale territoriale, un aumento della sofferenza psichica dovuta alla perdita del lavoro e un aumento della sofferenza psichica e del disagio nei ragazzi/e. Di fronte a questo quadro ci siamo chiesti come poter aiutare le persone e le famiglie attraversate da difficoltà sociali così pesanti. Ad esempio, un nodo che si dovrà affrontare riguarda il nostro orientamento rispetto alla valutazione dei carichi familiari in relazione all’accesso ai servizi o ai contributi o agli sgravi fiscali. Formigoni propone il “fattore famiglia” e già nella Consulta a Lodi abbiamo ingaggiato un confronto sulla tipologia di famiglia alla quale dover fare riferimento in questi casi. Nella nostra discussione nel pensare a politiche di sostegno alla famiglia dovremmo comprendere e analizzare quanto fanno già da tempo alcuni paesi del nord Europa o la Francia, i quali si sono organizzati, non in termini familistici ma in termini di regolazione del rapporto con i cittadini a loro volta strutturati in famiglie. Finisco con una osservazione rispetto a quello che sto vedendo succedere a Lodi nell’ambito sociale. In un clima di destrutturazione, di forte difficoltà, stiamo registrando un aumento dell’impegno civico, dei volontari soprattutto delle donne. Stanno nascendo associazioni che han voglia di impegnarsi e di fare, piccole aggregazioni che vedono i problemi prima di noi e tentano di dare delle risposte in termini non di servizi ma di aiuto relazionale. Per esempio, oggi facciamo una rassegna che si chiama “Cresciamo insieme, famiglie e bambini in gioco”, che è nata nel 2006 a parire da una associazione che ci chiedeva di avere spazi per stare insieme genitori e bambini. Oggi il progetto conta una decina di associazioni e librerie locali. Tutti i sabati e buona parte delle domeniche, da ottobre a maggio, ci sono iniziative per genitori e bambini. Altro esempio: Ge.Co, genitori consapevoli, associazione legata ai GAS, organizza momenti di supporto alle famiglie con bambini piccoli e iniziative di consumo equosolidale. Questo per dire che siamo di fronte ad una nuova prospettiva che riguarda la nostra convivenza (non cero il nostro welfare). Guardando il “bilancio sociale” che facciamo ogni anno dal 2006, posiamo vedere come nelle varie aree di intervento sociale comunale sono andate crescendo le associazioni ed i gruppi informali di volontariato. Molte risposte sociali hanno assunto un carattere informale e senza la presenza di questo tessuto sociale diffuso molti bisogni sociali non avrebbero risposta (soprattutto nell’area della povertà estrema o dell’immigrazione). Penso che si debba prendere atto che oggi il sistema di protezione sociale si è andato modificando: gli enti pubblici fanno una parte, un’altra parte importante è già parte di un sistema in parte delegato ed in parte informale. C’è poi un altro piano che ritengo vada considerato affrontando la tematica sociale così come emerge dall’esperienza locale: quello della democrazia partecipativa. L’esperienza della Consulta delle famiglie, con 21 associazioni e della Consulta dei nuovi cittadini, con 22 associazioni, mi fa dire che c’è un esercizio di democrazia che prima non c’era a Lodi. Le due consulte hanno un ufficio in comune, hanno l’accesso alla strumentazione informatica, stanno approntando un proprio sito, hanno avviato un proprio programma e attività. La sfida che abbiamo davanti è che l’esercizio di partecipazione avviato sia davvero un momento di partecipazione dal basso. Solo qualche anno fa io stessa sarei stata fortemente critica nei confronti di un panorama di questo tipo. Oggi penso che siano le condizioni oggettive in cui ci troviamo ad imporci percorsi che cerchino, nelle difficoltà sociali, di recuperare le relazioni e forme di mutualismo. Ultimo dato ( per non far sembrare che tutto sia stato orientato al privato nella sua forma sociale e di no profit) dal 2005 al 2010 la spesa per le politiche sociali del comune di Lodi è passata da 6.841 milioni a 9.461, aumentando del 38,3%. Ma da quest’anno, con i tagli previsti, potrebbe essere qui, come altrove, un’altra storia.


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Laicità ,sussidiarietà, sistemi pubblici di servizi alla persona.Le nostre analisi, idee, proposte

29 giugno 201712:30, di daikaads
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