Questa non è la nostra crisi.
Non l’abbiamo determinata noi e soprattutto è la crisi di un sistema che non è il nostro sistema.
La crisi viene presentata come un tunnel: se all’ingresso del tunnel c’era una società, un sistema, un modello di valori che critichiamo e non condividiamo, dobbiamo però chiederci che cosa vorremmo trovare alla fine del tunnel.
E non ci basta pensare di affrontare questo passaggio per trovarci alla fine ad affrontare lo stesso sistema restaurato.
Abbiamo visto i movimenti degli Indignados, abbiamo saputo dei movimenti degli Occupy, che sono forme di rifiuto dal potere e dai condizionamenti della finanza e che chiedono una società diversa ma che, per ora, non hanno presentato progetti alternativi.
Se come donne non ci andava bene il vecchio sistema, quali sono le prospettive che ci poniamo rispetto al dopo crisi?
Per uscire come vogliamo noi?
Se alcuni dei vizi che inquinano il sistema in crisi sono l’individualismo, il consumismo, il prevalere dell’organizzazione del lavoro sulla persona, il momento di crisi può essere l’occasione per sperimentare strade nuove.
Le donne devono diventare imprenditrici di loro stesse, cioè organizzare i lavori che già fanno in un’ottica di concretezza, assumendo in forma sociale le attività da sempre svolte.
Dando all’attività produttiva regole che rispettino il valore e i tempi della riproduzione, che ridimensionino la riproduzione al ben-essere e non come valore in sé e, di conseguenza, dimostrino che la strada diversa è percorribile e impongano alla politica priorità e regole diverse.
Dobbiamo incominciare la nostra rivoluzione trasformativa della società applicando, nelle situazioni in cui siamo protagoniste, regole nuove che rispecchino e rispettino i nostri valori e le nostre priorità.
E dobbiamo far crescere un nuovo sistema economico attraverso la presa in carico di funzioni e servizi organizzati e gestiti nel rispetto dell’equilibrio tra produzione e riproduzione.
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