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L’altra metà del sesso

di Natalia Aspesi
lunedì 28 aprile 2014

Ogni volta che un uomo si occupa di sessualità femminile, a partire dal mitico Freud, si resta di sale: ma come, se lo raccontano ancora, ce lo raccontano ancora, che le donne non sono come da secoli se lo dicono e ce lo dicono? La loro signora non gli ha mai dato una sveglia? Non hanno mai letto i testi fondamentali degli anni ‘70, scritti ovviamente da donne in cui solo alle donne (gli uomini non li leggevano), si spiegava che “non era per piacere a Dio”, ma trovando una persona volonterosa e creativa, maschio solitamente, si poteva godere scompostamente “per piacer mio”, come si vede oggi in ogni pubblicità di yogurt gustato da femmine.

Proprio nel paese del serioso giornalista Daniel Bergner che crede di sapere cosa vogliono le donne, gli Stati Uniti, uscì nel 1971 (poco dopo in Italia da Feltrinelli) “Our bodies, ourself”, in cui un collettivo femminile di Boston ce la raccontava tutta. Per le donne una rivelazione, sia per chi non ne sapeva niente e sperimentava il suo corpo nel sesso solo come un vuoto soporifero, sia per chi in certe situazioni si vergognava se le veniva da gridare, terrorizzando l’inconsapevole collaboratore. Il libro conteneva anche orrifici grafici di quella cosa là, assolutamente sconosciuta sia alla proprietaria che a chi se ne riteneva l’utente. Anche da noi i gruppi di autocoscienza si obbligarono a mettere uno specchietto tra le gambe per vedere questa cosa invisibile, che si era costrette tra brividi a trovare bellissima. Quel saggio fu radicale, disse di smetterla di credere o far finta di credere all’illusione maschile di possedere uno strumento penetrativo salvifico e in grado di far felici le donne già al primo sguardo. Disse, sorpresa! che il vero piacere femminile era nel clitoride, sempre che si trovasse qualcuno con la pazienza di rintracciarlo: o di seguire gli ordini della proprietaria che per conto suo l’aveva già favorevolmente sperimentato.

Da quel momento i testi scritti da donne sull’argomento furono una valanga, comprese le inchieste anni ’70 di Nancy Friday sulle fantasie masochiste femminili, che si riallacciavano al magistrale e a suo tempo proibito Histoire d’O( anni ‘50), della porchissima studiosa di monachesimo Paulin Reage. Lo smascheramento di massa della sessualità delle donne, silenziosamente, mandò all’aria, almeno teoricamente, tutta la costruzione artificiale sulla loro natura: madre (o puttana), monogama, fedele, priva di fantasie erotiche, nemica della pornografia (anche se ormai scritta da donne e letta quasi solo da donne).

Da anni ormai al cinema sono più le scene in cui è lui ad abbassarsi goloso sotto la vita di lei, che intanto mugola, di quelle in cui è lei a farlo su di lui (che spesso non mugola). Resta indimenticabile un film inglese molto divertente accolto però con una certa pruderie, Hysteria (2011) che racconta dell’invenzione fine Ottocento dell’antenato del vibratore: adottato dai medici come cura all’isteria, cioè a quella perniciosa malattia che era l’impossibile godimento delle donne. La televisione ha portato in tutto il mondo l’intelligente, spiritosa, coraggiosa serie Sex and the city, 94 puntate dal ‘98 al 2004, ridate anche da noi decine di volte e sempre illuminante: scritta da donne ha raccontato benissimo il bisogno d’amore femminile attraverso l’accumulo di avventure sessuali e talvolta pure sentimentali, sino all’immancabile finale, quello non cambia mai, del “vissero felici e contenti”.

Ma in generale la maschilità è zuccona, smemorata, fragile ed egoista: ancora sono in tanti, anche cervelloni, a immaginare l’erotismo come un servizio addirittura sociale, pure a spese dei contribuenti, che si prenda per esempio carico degli anziani insaziabili, senza neppure obbligarli non si dice a pagare, ma almeno a meritarselo con una certa capacità di seduzione o di risvegliare in buone Signore della Lampada un senso di cura e abnegazione. Giovani però, perché il maschio vecchio tende a sfuggire le coetanee: non è di una donna che queste persone, hanno bisogno, ma di un contenitore che accolga senza orrore lo sfacelo del loro corpo.

E le anziane? Hanno imparato da secoli a nascondere i loro non riconosciuti piaceri, a soddisfarli oppure a farne a meno, quasi sempre con grande contentezza, magari dopo decenni di noiosissimo sesso coniugale. Hanno maggior senso di dignità del loro corpo, hanno avuto quello che hanno avuto e va bene così. Però sono tante le coppie invecchiate insieme, e lo scrivono a Questioni di cuore, che continuano ad amarsi, con la meravigliosa tenerezza che nasce dall’abitudine, dal rispetto, dalla riconoscenza reciproca per quella gioia inestricabile che ha insegnato a due corpi ad armonizzarsi oltre la bellezza e la giovinezza.



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