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Muri e recinti: non è l’Europa in cui vogliamo vivere

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venerdì 25 settembre 2015

Muri e recinti: non è l’Europa in cui vogliamo vivere

“Poter andare dove si vuole è il gesto originario dell’essere liberi, mentre la limitazione di tale libertà è stata da tempi immemorabili il preludio della schiavitù”. “Non possiamo scegliere con chi coabitare il mondo”. Hannah Arendt

In Europa si stanno moltiplicando i fili spinati, i muri, le recinzioni. L’esodo dei migranti si trasforma in un vero e proprio percorso di guerra, disseminato di mine non più solo metaforiche ma concrete e reali ed anche di particolari simbolici che danno i brividi, come i numeri disegnati sulle braccia, o l’accoglienza in campi nei pressi di Buchenwald. Le rotte della fuga stanno cambiando, ora sotto i riflettori ci sono quelle balcaniche via terra, ma i viaggi e le stragi via mare continuano a verificarsi. E ci sono profughi che muoiono fulminati a Calais cercando di scavalcare la rete che impedisce l’accesso al Regno Unito.

Quelle donne e quegli uomini in fuga entrano nella realtà del nostro stare al mondo, i loro corpi potrebbero essere i nostri, i loro figli potrebbero essere i nostri figli, potremmo sentire lo stesso freddo, la stessa paura, la stessa fame.

Che cosa significa allora per noi essere cittadine europee? Che cosa rappresentano, per noi, confini e frontiere rispetto al diritto alla vita? “Primum vivere”, è la sfida lanciata da moltissime donne dei movimenti fin dall’incontro di Paestum. Un’Europa percorsa da logiche carcerarie e di confinamento non è un luogo in cui possiamo accettare di vivere.

C’è il rischio di una profonda regressione verso momenti storici che non vorremmo mai veder tornare. Uomini e donne del volontariato e semplici persone comuni cercano in ogni modo di assistere e proteggere le ondate di profughi in continuo arrivo… ma con questi numeri è impossibile riuscirvi, se non sono le istituzioni a dare il senso di un’accoglienza umana, solidale e condivisa in tutto il suolo europeo.

Ecco perché è importante che gruppi di donne come il nostro prendano parola. Qualcuna tuttavia si chiederà: perché dovremmo farlo come donne? Forse perché sappiamo bene che dietro il rifiuto dei migranti sta l’eterno rifiuto del diverso, base dell’ideologia patriarcale che ha creato gerarchie fra gli esseri umani, decretando la superiorità dell’uno sull’altro: bianco-nero, nord-sud, e prima di tutto maschile-femminile… Nel mondo politico neutro pochi sembrano comprendere che cosa sia davvero in gioco, la metamorfosi profonda e inarrestabile che le popolazioni migranti stanno producendo, un cambio epocale che muterà tutti i nostri modi di pensare, le nostre pratiche e le nostre regole di convivenza. Si tratta di andare finalmente oltre la paura e il rifiuto del diverso… Le donne ne sanno qualcosa.

Dobbiamo fare un salto evolutivo di civiltà, tenendo a mente quelle semplici ma bellissime citazioni di Hannah Arendt sulla libertà e sul diritto di spostarsi. Una serie di cambiamenti portati dalla globalizzazione, soprattutto nelle comunicazioni, hanno reso impossibile, oltre che inaccettabile, mantenere barriere e confini che di fatto dividono l’umanità tra chi ha il diritto di vivere e chi no.

Vecchi e nuovi poteri cercano di tenere in vita questo sistema di dominio rafforzando gli strumenti del patriarcato – armi, guerre, frontiere – contro l’avanzare di un “continente” in fuga (quasi 60 milioni di persone nel mondo), mentre al contrario si fa sempre più chiara la necessità di costruire un concetto di cittadinanza inclusiva, a partire dalle concrete e materiali condizioni di vita che accomunano le persone su questo pianeta, e dal riconoscimento delle differenze individuali e collettive come ricchezza e relazione. Non è un cammino facile, si tratta di un grande lavoro, ma occorre iniziare. Il pensiero e le pratiche delle donne potrebbero contribuirvi efficacemente grazie a una storia che ha visto il nostro genere confrontarsi per millenni con l’esclusione e il non-riconoscimento.

Proponiamo quindi alle reti e ai gruppi di donne italiane ed europee di organizzare al più presto un incontro per decidere quali parole e quali iniziative vogliamo condividere. Ne accenniamo qui alcune su cui riflettere:

1. Chiediamo alla comunità internazionale di garantire corridoi umanitari e percorsi di viaggio sicuri per tutti i richiedenti asilo. In particolare chiediamo di fare pressione per chiudere quei campi in Libia e altrove dove vengono violentate le donne.

2. Riteniamo giusto accogliere tutti i migranti, anche quelli cosiddetti “economici” che rischiano comunque la vita fuggendo da condizioni climatiche ed economiche rese insostenibili da responsabilità delle potenze occidentali e neocoloniali.

3. Proponiamo di avviare un percorso di riflessione per oltrepassare i confini delle regole prodotte dal sistema patriarcale che ancor oggi stanno alla base di un’idea di cittadinanza legata ad appartenenze identitarie, territoriali e nazionali.

La Casa delle donne di Milano


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Muri e recinti: non è l’Europa in cui vogliamo vivere

22 maggio 201809:06, di SEOPAK
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