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Suffragette, le black bloc con l’ombrellino

di Mirella Serri
domenica 22 novembre 2015

Nell’Inghilterra di inizio ’900 lanciavano pietre, incendiavano, facevano esplodere bombe. Esce l’autobiografia della loro leader Emmeline Pankhurst, mentre arriva il film con Meryl Streep I regali inquilini del castello di Balmoral, in Scozia, rimasero basiti una domenica mattina del 1912 quando approdarono ai verdi campi del Royal Golf per la solita partita. Le bandierine segna buche erano state sostituite da altre con la frase «il voto alle Donne porterà la pace per i Ministri». Andarono però veramente su tutte le furie vedendo il manto erboso rovinato da gigantesche scritte tracciate con l’acido: «Wspu», ovvero Women’s Social and Political Union. E non basta: due giovani suffragette – erano loro le autrici di tutto quel disastro – si avvicinarono al primo ministro liberale Herbert Henry Asquith con la mazza da golf in mano per ribadire le loro posizioni ma furono aggredite e malmenate. Scene analoghe si verificarono in tanti altri campi da gioco del Regno Unito deturpati da esponenti del gentil sesso.

Queste performance erano solo un assaggio di ciò che le aderenti al Wspu erano in grado di fare: il meglio (o il peggio) doveva ancora venire. A rivelarci peripezie, batoste e successi del primo importante movimento di emancipazione femminile è l’autobiografia di Emmeline Pankhurst, la leader dell’associazione, scomparsa nel 1928, Suffragette. La mia storia, che arriva per la prima volta in Italia pubblicata da Castelvecchi. In contemporanea, il 20 novembre, il lavoro di Sarah Gavron, anch’esso titolata Suffragette, aprirà la 33a edizione del Torino Film Festival, con una splendida Meryl Streep che dà volto e corpo alla Pankhurst (la pellicola è stata molto ben accolta a Londra e sarà nelle sale italiane a marzo del prossimo anno).

Eleganti e colorate

Sia il libro sia il film capovolgono l’immagine più tradizionale con cui le protagoniste più combattive hanno finito per passare alla storia e che stranamente resiste ancora oggi, e cioè quella di donne assai poco femminili, abbigliate sempre in nero, con l’ombrello in mano come oggetto contundente, acide, frustrate, desiderose di rivalsa e fastidiose con le loro rivendicazioni. Le militanti che nel 1903 si riunirono nel salotto in stile vittoriano della bella casa di Manchester, dove adesso c’è un Centro dedicato a Emmeline, non avevano però niente da spartire con questo stereotipo: erano eleganti, indossavano abiti colorati, provenivano da famiglie dell’alta borghesia, erano colte come la Pankhurst che aveva studiato in Francia e a vent’anni era convolata a nozze con un avvocato più grande di lei di un paio di decenni. Questo gruppetto che diede vita al Wspu condizionerà in maniera inequivocabile la vita politica inglese fino alla Prima guerra mondiale, con richieste considerate inaccettabili come, per esempio, oltre al voto anche l’accesso alle professioni riservate agli uomini. Ma le donne erano decise a praticare con tutti i mezzi il proprio motto «Fatti non parole»: «Ogni anno», scrive la Pankhurst, «le signore che incontravano i parlamentari avanzavano le loro proposte e i parlamentari rinnovavano il sostegno al suffragio femminile». Però non si concludeva nulla, anzi veniva chiesto alle rappresentanti del sesso debole di lavorare non retribuite negli uffici per dimostrare il loro valore. Uno dei primi politici che fece le spese di questo desiderio di «fatti» fu Winston Churchill, il quale per sua sfortuna fu candidato per il partito liberale nella città di Emmeline. Durante i comizi e le pubbliche assemblee tenute in vista delle elezioni, il 32enne Churchill veniva seguito ovunque da «quelle gatte miagolanti» che usavano la tecnica di interromperne i raduni alzando cartelli e facendo domande inopportune. Quando la Pankhurst venne sbattuta in carcere, Churchill, per evitarsi altre noie, si offrì di pagarle la cauzione, ma Emmeline rifiutò, anche se poi i soggiorni nelle gattabuie inglesi le minarono la salute. Prendendo esempio da lei, inoltre, molte delle compagne di lotta iniziarono lo sciopero della fame per denunciare la terribile condizione delle carceri.

L’eroina martire

Dopo il periodo trascorso dietro le sbarre dalla grande madre del movimento, il livello dello scontro si alzò. Durante una grande manifestazione a Birmingham che prevedeva la presenza di lord Asquit, signore e fanciulle salirono sui tetti da cui lanciarono blocchi di ardesia e scesero solo dopo essere state investite dai potenti getti d’acqua dei pompieri. Nonostante i metodi assai poco ortodossi l’Unione cominciò a mietere ampi consensi, mentre la stampa ne boicottava le imprese e il loro giornale veniva censurato. Per rispondere a questi attacchi le donne organizzate dalla Pankhurst, armate di pietre e martelli, sfasciarono centinaia di finestre di edifici nel centro di Londra, arrivando a colpire il War and Foreign Office e la London and South Western Bank, quindi incendiarono con un’azione capillare le cassette delle lettere disseminate nel Regno Unito. La casa di campagna del cancelliere dello Scacchiere, Lloyd George, fu distrutta da una bomba mentre era in costruzione e le forcine per capelli ritrovate vicino al luogo dove fu deposto l’ordigno furono l’indizio di una presenza femminile. Alle corse dei cavalli di Epsom, Emily Wilding Davison, per richiamare ancora una volta l’attenzione, scavalcate le barriere si buttò in mezzo ai destrieri al galoppo e fu ridotta in poltiglia. La terribile battaglia durata un decennio adesso aveva anche una martire e un’eroina. Quando iniziò la Grande guerra il movimento femminile depose le armi in nome della solidarietà nazionale, e il governo a sua volta liberò tutte le donne che aveva imprigionato. Nel 1918 il parlamento approvò il diritto di voto. La memoria degli scontri pugnaci era stata cancellata dalla tempesta mondiale e di quelle «megere» rimaneva la cattiva fama.



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