IFE Italia

L’alleanza di capitalismo e patriarcato contro le donne

di Tania Toffanin
mercoledì 8 novembre 2017

Ecco il testo di una delle relazioni presentata nella prima sessione ( "Libertà,eguaglianza, fraternità??? Alternative all’ingiustizia globale" ) del Convegno Internazionale " Libertà delle donne nel XXI secolo. Oltre i fondamentalismi" ( Roma, 20-21-22 ottobre 2017)

Fonte: http://libertadonne21sec.altervista.org

La riflessione che ci è stata proposta di fare verte sul fondamentalismo liberista e i suoi effetti sulle donne. Patriarcato e capitalismo sono dei fondamentalismi: il loro carattere pervasivo e assoluto intacca ogni spazio vitale, pubblico e privato.

Le donne italiane, come le donne di altri paesi, hanno combattuto a lungo e continuano a combattere il patriarcato. Basta pensare alla lunga stagione di lotte iniziata nel secondo dopoguerra che ha permesso alla mia generazione di poter accedere allo spazio pubblico senza riserve. Certo, con molte contropartite. La cultura patriarcale è ben radicata, anche all’interno del mondo accademico e della sinistra, luoghi che, invece, dovrebbero non solo esserne esenti ma essere in prima linea a combatterla.

In che termini cultura patriarcale e capitalismo danneggiano le donne?

Contrariamente ai recenti applausi che hanno salutato la crescita dell’occupazione femminile italiana, vorrei evidenziare due cose che reputo particolarmente rilevanti e che dovrebbero farci riflettere maggiormente su come si leggono i numeri dell’occupazione, di quella femminile in particolare. La prima: sappiamo che il tasso di occupazione non ci dice nulla rispetto non solo alla qualità dell’occupazione ma anche alla sua stabilità. A maggior ragione per le donne che a causa del lavoro riproduttivo interrompono spesso la loro carriera lavorativa. Dal secondo dopoguerra è stata coltivata una grande mistificazione a livello globale: si è assegnato al tasso di occupazione un valore primario nella spiegazione dell’emancipazione di entrambi i generi e ancor più di quello femminile. La questione cruciale per le donne non è certo essere occupate: le donne hanno sempre lavorato, fuori e dentro casa, semmai è mantenere nel tempo un’occupazione che permetta loro la propria autonomia.

L’autonomia delle donne italiane è ora, invece, compromessa. I dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro ci dicono come sia in atto una vera e propria guerra contro le donne, al punto che in Italia, nel 2016 quasi 30 mila donne (5.000 in più dell’anno precedente) hanno rassegnato le dimissioni dal lavoro per incompatibilità a bilanciare lavoro e impegni di cura. Parte di queste lavoratrici ha tentato di chiedere di trasformare il rapporto a tempo parziale o di introdurre delle flessibilità orarie ma, stando ai dati forniti, meno del 50% delle richieste è stata concessa. Segno che la flessibilità del lavoro è unicamente a vantaggio del capitale e che la rigidità dell’organizzazione del lavoro è tale da far risultare le scelte riproduttive incompatibili con la stabilità dell’occupazione. I dati ci dicono che tra le madri dimissionarie per il 94% dei casi si tratta di donne con qualifica operaia e impiegatizia, per lo più occupate nel commercio e nei servizi, in imprese di piccole dimensioni. Segno che la classe sociale di appartenenza conta, eccome sul piano del bilanciamento vita-lavoro e più in generale delle scelte riproduttive. Stato e capitale ci vogliono invece iper produttive a costo zero!

In altri casi, la rigidità del lavoro è tale da imporre il lavoro a tempo parziale alle donne, anche quando esse vogliono lavorare a tempo pieno. Secondo i dati Eurostat, nel 2016 il tasso di part time involontario tra le donne italiane, tra 25 e 49 anni, è pari al 58,8%: esso è oltre il doppio di quello medio europeo (EU 28) che si attesta al 25,5%. Questi dati ci dicono che quel fondamentalismo liberista del quale si parlava all’inizio ha trovato piena e nuova enfasi nelle politiche di austerità: la riduzione dei servizi ha aumentato enormemente il carico di cura per le donne. Ma di ciò poco si parla. Contestualmente è cresciuto il tasso di povertà tra le occupate, segno, appunto, che il lavoro non basta alle donne, non basta certamente a renderle immuni dalla dilagante violenza perpetrata ai loro danni.

In un recente articolo Silvia Federici coglie appieno la dinamica in atto quando sottolinea che c’è piena “collusione tra l’interesse del capitale e quello di molti uomini riguardo al lavoro femminile che, da una parte deve procurare a questi ultimi i redditi che non possono più avere a seguito della crisi e dall’altra deve procurare ala capitale lavoro a basso costo per incrementare i profitti”. In entrambi i casi, rileva Federici, “il lavoro domestico non retribuito delle donne non scompare, ma non è più una condizione sufficiente per la loro accettazione sociale. Emerge così una nuova economia politica che favorisce relazioni familiari più violente, perché dalle donne ci si aspetta che portino soldi a casa ma allo stesso tempo si maltrattano se trascurano i lavori domestici o chiedono più potere e il riconoscimento del contributo che danno con il lavoro extra-domestico”.

Concludo sottolineando quanto già evidenziato alla fine degli anni Settanta da molte studiose femministe e marxiste: la lotta e il superamento del capitalismo e la difficile costruzione di una valida alternativa non avranno spazio finché non ci sarà una lotta altrettanto serrata al sistema patriarcale. La pervasività e la persistenza del primo non si spiegano senza la presenza e la complicità del secondo. Si tratta di una lotta quotidiana, da combattere in ogni luogo e con ogni mezzo.


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