IFE Italia

Cattivi con i buoni

di Chiara Saraceno
lunedì 13 maggio 2019

L’attività di solidarietà sociale non è mai stata così oggetto di delegittimazione da parte dei poteri dello Stato come oggi. Chi cerca di adempiere ai «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» per «garantire i diritti inviolabili dell’uomo» (e della donna, naturalmente,) solennemente sanciti dall’articolo 2 della Costituzione, rischia di trovarsi segnato a dito vuoi come «buonista» senza costrutto, vuoi come facinoroso che attenta alla sicurezza.

Non importa se tra i diritti inviolabili c’è innanzitutto il diritto alla vita, e ad una vita dignitosa. Gli stessi che vorrebbero sancire per legge il diritto alla vita, quindi a svilupparsi e a nascere, dell’embrione (non chiaro solo se italiano, però), considerano illegittimo cercare di salvare la vita di chi altrimenti annegherebbe, quando si tratta di un migrante. Anzi, secondo gli ultimi progetti del ministro dell’Interno, chi li salva senza permesso (un permesso che può arrivare troppo tardi per essere utile) dovrebbe pagare a caro prezzo ogni vita salvata.

Lo Stato si aggiungerebbe così alla serie di coloro che lucrano su queste vite, che diventano sempre più care ad ogni passaggio mentre se ne nega, calpesta, il valore in sé. L’attacco alla solidarietà ha ormai una storia lunga e, purtroppo, di successo. Ha iniziato il M5S a suggerire che le Ong, che operavano nei salvataggi in mare in coordinamento con l’operazione Sofia, erano in realtà in combutta con gli scafisti. Poi è arrivato Salvini con la pratica dei porti chiusi, che ha trasformato ogni salvataggio in un tira e molla defatigante con i partner europei, che certo hanno le loro responsabilità, privo di qualsiasi attenzione e rispetto per i “salvati”. Il risultato è che l’operazione Sofia è stata sospesa a tempo indeterminato, le navi Ong ancora in mare sono pochissime e agiscono a loro rischio e pericolo, gli arrivi in Italia sono fortemente diminuiti, ma non è diminuito il numero delle vite umane sparite in mare, secondo un bollettino necessariamente incompleto e che non fa più scandalo.

L’operazione contro l’azione solidale continua anche sulla terraferma. Le nuove norme definite dal decreto sicurezza non restringono solo i criteri per essere considerato meritevole di accoglienza. Restringono anche i criteri di adeguatezza della accoglienza stessa, ridotta pressoché esclusivamente a vitto e alloggio. Non insegnamento dell’italiano, sostegno psicologico, formazione professionale. Neppure diritto alla residenza, quindi al servizio sanitario, al nido per i piccoli.

Non è un caso che gli organismi più seri che si occupano di accoglienza abbiano in molti casi rifiutato di partecipare ai bandi e questi siano andati deserti. Si sono rifiutati di considerare queste persone come bestiame da nutrire e alloggiare, senza altri bisogni e diritti. Non si tratta di buonismo, ma di rispetto dell’obbligo costituzionale a rispettare i diritti inviolabili delle persone, che comprendono anche il diritto a essere trattati con dignità, secondo le proprie capacità e i propri bisogni.

Un obbligo che sarebbe prioritariamente della Repubblica, quindi dello Stato e del suo governo, ma che quest’ultimo sembra voler sistematicamente cancellare, intimidendo e attaccando chi invece vorrebbe farsene carico per quanto nelle proprie possibilità. Anche nel caso dei rom, se ne è proclamata a dismisura la radicale alterità, la non appartenenza al genere umano civile: gente da sradicare con la ruspa dai luoghi in cui sono spesso costretti a vivere, da spostare di qui e di là senza rispetto, ostacolando ogni percorso di integrazione.

Ma delegittimare la solidarietà, o restringerla al cerchio chiuso dei più prossimi, rischia di produrre le folle che minacciano la famiglia rom che ha ottenuto la casa, che si oppongono all’arrivo di un piccolo gruppo di donne e bambini, di incoraggiare i singoli che aggrediscono un “diverso” per strada o sull’autobus.

Ciascuno per sé e tutti contro tutti.


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