IFE Italia

La Ministra Guidi ed il TTIP che non c’é

di Monica Di Sisto , Fairwatch
domenica 11 maggio 2014

Pubblichiamo con il consenso dell’autrice

Fonte: http//tradegameblog.org

Giornata suggestiva quella del 30 aprile, quando la ministra allo Sviluppo economico Federica Guidi si è presentata in aula al question time della Camera per rispondere al Movimento 5 Stelle, che le chiedeva “quando – e non è la prima volta che lo chiediamo – i dettagli dell’accordo TTIP saranno resi pubblici. Il Parlamento e le Commissioni competenti ne devono essere assolutamente informati (…) perché il tempo è importante e perché degli accordi internazionali a sorpresa, dei quali si conoscono dopo gli effetti, i cittadini, e noi che li rappresentiamo, ci siamo stancati”. Quesito diretto, risposta creative, perché la ministra ha descritto all’aula un accordo che non c’è. Che forse lei auspica, desidera, ma che nei fatti non esiste. Entriamo nei dettagli. Innanzitutto la dimensione europea del consenso al TTIP: «il negoziato viene anche fortemente sostenuto da tutti gli Stati membri dell’Unione», dice la ministro. Peccato che la Francia si sia Battuta per far escludere il settore degli audiovisivi, a lei molto caro, si dai tempi del mandato a negoziare dato alla Commissione, e che la Germania, Confindustria nazionale in testa, da mesi non fa che chiedere alla Commissione assicurazioni di varia natura sull’andamento delle trattative. La segretaria di Stato presso il ministero dell’Economia e dell’Energia Brigitte Zypries, audita il 12 marzo scorso alla Camera Bassa, aveva spiegato che il Governo federale è contrario all’approvazione di un TTIP che preveda l’introduzione del meccanismo di protezione degli investimenti, solo parzialmente corretto da un comunicato ufficiale del ministero che ha precisato che la Germania sarà favorevole anche all’ISDS, qualora esso si apra a quegli investitori che abbiano già superato i gradi di giudizio previsti dalla giustizia ordinaria. Una possibilità che fa sorridere. «Dalla prospettiva del Governo federale – ha spiegato la Zypries – gli investitori statunitensi hanno già in Europa una protezione legale sufficiente nei tribunali ordinari».

Il bello arriva quando parliamo dell’Italia. «Circa l’opportunità di tale accordo l’Italia – ha assicurato la ministro ai Parlamentari – ha effettuato un’attenta valutazione di impatto proprio sulle risultanze economiche per il Paese e quindi risulta che saremo tra i Paesi con i maggiori effetti positivi dal buon esito del negoziato per i principali settori di specializzazione del nostro Paese nel commercio mondiale, quali ad esempio, la meccanica, il sistema moda, l’agroalimentare, le bevande e anche per l’industria dei mezzi di trasporto». Di che cosa parli la ministra, però, è ignoto ai più.

Il ministero per lo Sviluppo economico, infatti, ha commissionato a Prometeia spa una prima valutazione d’impatto mirata all’Italia che di ha detto alcune cose ben diverse. I primi benefici delle liberalizzazioni si manifesterebbero non prima di 3 anni dall’entrata in vigore dell’accordo nella misura di un modesto 0,5% di Pil in uno scenario ottimistico entro 10 anni. L’accordo rischia di favorire soltanto un numero ristretto di soggetti, ovvero quelle imprese italiane che esportano, molto spesso esternalizzando parti dell’impresa fuori dal territorio italiano. Parliamo, nello scenario più favorevole, di 5,6 miliardi di euro e 30mila posti di lavoro grazie a un +5% dell’export per il sistema moda, la meccanica per trasporti, un po’ meno da cibi e bevande e da uno scarso +2% per prodotti petroliferi, prodotti per costruzioni, beni di consumo e agricoltura entro il 2027. L’Organizzazione mondiale del Commercio ci dice che le imprese italiane che esportano sono oltre 210mila, ma è la top ten che si porta a casa il 72% delle esportazioni nazionali. Secondo l’ICE, in tutto nel 2012 le esportazioni di beni e servizi dell’Italia sono cresciute in volume del 2,3%, leggermente al di sotto del commercio mondiale. La loro incidenza sul Pil ha sfiorato il 30% in virtù dell’austerity e della crisi dei consumi che hanno depresso il prodotto interno. L’Italia – spiega sempre l’ICE – è riuscita a rosicchiare spazi di mercato internazionale contenendo i propri prezzi, senza generare domanda interna né nuova occupazione. Anzi: lo ha fatto spostando all’estero processi o attività dove costavano meno il lavoro o le tecnologie. Per un guadagno esclusuvamente nel proditto di pochi, subiremmo però ingenti danni. Sempre Prometeia ci dice infatti che nel caso più ottimistico soccomberebbero comunque il legname, la carta, poi la chimica farmaceutica e di consumo, la più penalizzata con 30 milioni di euro di perdite previste. Altri 10 milioni si perderebbero tra prodotti intermedi chimici, altri intermedi e agricoltura, e molte piccole e medie aziende potrebbero non sopravvivere allo choc.

Terzo volo d’immaginazione della Guidi, forse il più creative, arriva sulla trasparenza presunta del Ttip. Io, se fossi un ministro d’un Governo sovrano, sarei irritata se dovessi confrontarmi tutti i giorni con una Commissione che mi nega l’accesso alle informazioni fondamentali rispetto al negoziato. Sarei ancora più irritata se questo divieto mi fosse imposto, addirittura, dalla mia controparte commercial, cioè da Washington. Il suo vice ministro Calenda, quello che ci mette la faccia con le categorie produttive, in effetti ha passato il ponte del primo Maggio negli Usa, ad incontrare direttamente il ministero al Commercio estero e le imprese della controparte con le nostre al seguito, per capire dal vero quali sono le opportunità e i pericoli che la posizione USA potrebbe provocarci. La Guidi, al contrario,senza fare un plissé ha detto ai Parlamentari che «la tradizionale attenzione che il Governo italiano ha da sempre dato alla trasparenza nella condotta dei negoziati da parte della Commissione nel caso del Ttip necessita comunque di essere coniugata con l’esigenza di riservatezza, dato che trattiamo di documentazione non disponibile per l’Italia». E senza battere ciglio ha ribadito che «la documentazione negoziale del Ttip è, allo stato, una documentazione riservata in ragione della classificazione imposta non da noi ma dalla Commissione europea, per tutelare gli interessi della UE nel negoziato. Al momento neppure gli Stati membri hanno accesso a tutta la documentazione inerente il Ttip e si sta valutando l’ipotesi di una specifica reading room a Bruxelles, che consenta la sola lettura di tali testi». Scendendo nel concreto, “reading room” vorrebbe dire che gli Stati Uniti stanno imponendo ai ministri dei Paesi membri europei come unica possibilità per accedere direttamente ai testi delle proprie proposte, quella di entrare su appuntamento in stanze approntate presso l’ambasciata americana dove leggere i testi, senza avere alcuna possibilità non solo di parlarne con i propri tecnici, ma nemmeno di prendere qualche appunto personale. Uno schiaffo alla sovranità, alla rappresentatività democratica, al ruolo politico stesso da noi conferito ai nostri Governi, ammesso che, e non sembra il caso della nostra ministro, essi vogliano esercitarlo.

L’ultima chicca, però, è quella relativa alle «esigenze di tutela per l’agricoltura comunitaria», rispetto alle quali, secondo la Guidi, «tutte le amministrazioni competenti stanno operando per far inserire adeguatamente salvaguardie nell’accordo». Peccato che apprendiamo direttamente dall’associazione di categoria dei marchi di tutela delle eccellenze alimentari italiane (il sistema delle produzioni Dop e Igp, che in Italia genera un fatturato alla produzione di circa 7 miliardi di Euro e al consumo di circa 12,6 miliardi di Euro ed un valore di export pari al 32%) che una rappresentanza di produttori americani (provocatoriamente chiamato Consorzio dei nomi comuni) si sta battendo (ed ha nei fatti ottenuto) di poter inserire nel TTIP una clausola che consenta loro di continuare a chiamare i propri prodotti-copie con nomi abbastanza importanti per il made in Italy alimentare come Asiago, Mortadella Bologna, Gorgonzola, Grana, Fontina, Parmesan e Romano, legittimando nei fatti nel mercato globale l’italian sounding senza che i nostri produttori possano più fare nulla per combatterli. Complimenti, ministro Guidi: una vittoria annunciate su tutti i marchi


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