IFE Italia

Quei nomi di donna che la storia non conosce

di Rosalinda Cappello
domenica 2 gennaio 2011 par ifeitalia

Garibaldi, Mazzini, Pirandello, Marconi, Fermi, e molti altri, che cosa hanno in comune? Sono alcuni degli uomini che con le loro azioni, con la loro intelligenza e con il loro talento hanno contribuito a fare grande la storia dell’Italia unita. E le donne? Avranno anch’esse fatto la loro parte? Eppure i loro nomi non compaiono, se non di rado, nelle pagine dei libri. Sfogliandole sembra che la storia si coniughi sempre al maschile, sembra che sia stata fatta solo dagli uomini. I nomi delle donne sono pressoché assenti dalle cronache che raccontano gli avvenimenti, i fatti che hanno contribuito a plasmare la cultura e la storia del nostro paese. Ce ne sono state di donne che non si sono rassegnate a vivere soltanto all’ombra del focolare domestico, ben molto tempo prima delle battaglie degli anni Settanta, ma non sempre sono conosciute. Le loro figure rimangono sullo sfondo, nella penombra, se non nell’oscurità. E anche oggi, non hanno il posto che si meriterebbero per quello che rappresentano.

In questi giorni un libro Le italiane (Castelvecchi, pp. 239, euro 16,50) – i cui proventi andranno a sostenere le attività di Telefono Rosa -, curato da Annamaria Barbato Ricci racconta la vita di quindici italiane che sono riuscite a lasciare la loro impronta nella politica, nella cultura, nell’economia, nella scienza e nello sport, attraverso le parole di altrettante italiane che lavorano nel mondo della cultura, della comunicazione, delle accademie. Nelle pagine si susseguono i ritratti di donne più o meno note del periodo che va dall’unità d’Italia ai giorni nostri, alcune di esse ancora attive. In quanti conoscono la vita avventurosa di Cristina Trivulzio di Belgiojoso che visse da vicino parte degli avvenimenti risorgimentali, intrattenendo rapporti con i principali protagonisti di quella stagione, assistendo i patrioti italiani? Una donna originale, «un po’ princesse romantique e un po’ madame couperet (madama ghigliottina) per le sue idee rivoluzionarie» che, attraversata in lungo e in largo la penisola e soggiornando nelle principali capitali europee, riceve da Mazzini la nomina di direttrice degli ospedali romani durante l’esperienza della Repubblica, prima di fuggire verso Oriente dopo il ripristino del potere del papa.

Una studiosa, giornalista e autrice di saggi, tra i quali uno anticipatore di una nuova visione della donna in cui, analizzando la difficile situazione di quelle che a quel tempo cercavano di emanciparsi, invita il gentil sesso a preparare la strada per il futuro entrando nelle scuole e nelle professioni. «Vogliano – scriveva Cristina – le donne felici dei tempi a venire rivolgere il pensiero alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata felicità». Di certo, le donne oggi sono molto più appagate e realizzate, sono riuscite a costruire il loro cammino anche se, ancora oggi, la loro intelligenza, la loro determinazione, la loro capacità di fare da qualcuno è un po’ temuta. C’è, infatti, ancora chi continua a maltrattarle, a volerle relegare a una condizione di minorità, chi temendone la testa le riduce a corpi.

E c’è anche chi, tra le donne stesse, preferisce essere più corpo che testa, o chi crede che per ritagliarsi uno spazio in un presente aggressivo, competitivo, poco solidale e mal disposto all’ascolto dell’altro, pensa di dover mostrare i muscoli e digrignare i denti perdendo ciò che invece le rende diverse, la loro essenza femminile. Molte delle protagoniste di queste pagine, simbolo di tutte quelle a cui non è mai stato dedicato un solo rigo in nessuna cronaca, ma non per questo meno capaci, dimostrano che si può costruire qualcosa senza per questo dover rinunciare a essere se stesse.


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