IFE Italia

La Piazza Tahrir ha vinto. L’incognita del potere ai militari

di M.M. dal MANIFESTO Fuori Pagina
sabato 12 febbraio 2011 par ifeitalia

Colpo di scena, ieri, al diciottesimo giorno della crisi in Egitto. Il faraone Hosni Mubarak si è dimesso dopo 30 anni di potere assoluto e meno di 24 ore dopo che giovedì era apparso in tv per annunciare, anziché le dimissioni come tutti si aspettavano (a cominciare dal presidente Usa Obama), che sarebbe rimasto al suo posto fino alla scadenza del suo mandato, in settembre, pur delegando i poteri al vicepresidente Omar Suleiman. Apparso a sua volta in tv per chiedere (ovviamente inascoltato) ai manifestanti di Tahrir square e agli scioperanti di tutto il paese di tornarsene a casa e di lasciare fare a lui. Lo sgomento e la frustrazione, la rabbia e il furore nell’ormai storica piazza Tahrir, epicentro della «rivoluzione» e nel resto del paese annunciavano sviluppi potenzialmente esplosivi e sanguinosi per il giorno dopo, venerdì, quando milioni di persone sarebbe (ri)discese per le strade per protestare. Non è ancora chiaro cosa era accaduto nell’establishment egiziano nel corso di quel giovedì molto convulso, né il ruolo dei comandi militari che sembravano a un certo punto aver già assunto in proprio le leve del comando (con un «comunicato n.1» del Consglio supremo militare). Probabilmente c’è stato – e c’è ancora – un duro braccio di ferro dentro settori diversi delle forze armate, forse fra le forze armate e Suleiman (che pure è un generale ed è il capo dei servizi segreti). Sta di fatto che ieri sera, come ha scritto il famoso giornalista inglese Robert Fisk, «la dittatura aveva vinto e la democrazia aveva perso». Ieri colpo di scena e forse anche il colpo di stato. Pochi minuti dopo le 6 del pomeriggio (le 5 in Italia), Suleiman è riapparso in televisione e ha annunciato che Mubarak (che secondo le voci aveva già lasciato il Cairo per Sharm el Sheikh e poi chissà per dove) aveva «deciso» di rinunciare alla presidenza e «incaricato l’alto consiglio delle forze armate di amministrare gli affari del paese». Piazza Tahrir, brulicante di gente, è esplosa di gioia, come tutto l’Egitto e non solo l’Egitto: a Tunisi una folla ha celebrato la caduta del secondo satrapo dopo Ben Ali; a Gaza le strade della Striscia si sono riempite per festeggiare quella che un portavoce di Hamas ha definito «l’inizio della vittoria della rivoluzione», in acuto contrasto con il cupo silenzio di Ramallah, nella Cisgiordania di Mahmud Abbas, e in Israele. A Washington probabilmente sollevato anche Obama, preso in contropiede dall’annuncio di Mubarak di giovedì sera, che pare fosse stato avvisato già questa mattina delle «dimissioni» del raìs (un suo discorso era previsto per il tardo pomeriggio di oggi). In Egitto al timone ora c’è – salvo sorprese – il ministro della difesa, il generale Mohammed Hussein Tantawi, che è il capo del Consiglio supremo militare, da 20 anni (ora ne ha 75) uomo di Mubarak, conosciuto come (lo rivela Wikileaks) il "barboncino di Mubarak". Restano molti punti oscuri. Perché Mubarak, che giovedì sera aveva «delegato» il potere esecutivo al suo vice Suleiman, oggi ha invece ceduto il potere al Consiglio supremo militare? Quali sono i rapporti di forza fra Suleiman e Tantawi? Suleiman, uomo di fiducia degli americani e degli israeliani, è solo (o è ancora) il garante della transizione «ordinata» chiesta a ogni pie’ sospinto da Obama e da Hillary Clinton? Stando alla tv al Arabiya, il Consiglio avrebbe già messo a punto un nuovo comunicato in cui annuncia il prossimo scioglimento del governo e del parlamento, senza aspettare un lontanissimo settembre. Punti oscuri da chiarire. Ma per oggi si può dire che «la democrazia ha vinto e la dittatura ha perso». Da domani si vedrà. Come si vedrà anche chi, dopo Ben Alì in Tunisia e Mubarak in Egitto, sarà il terzo.


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