IFE Italia

Educare tra razzismo e indifferenza

di Angela Maltoni
sabato 1 ottobre 2016

Angela Maltoni è un insegnante di scuola primaria.

Il testo è tratto da : http://comune-info.net/2016/09/razzismo/

Qualche giorno fa una mia giovanissima ex alunna ha postato su Facebook un accorato messaggio, scritto di getto, su un episodio di razzismo a cui ha assistito. Riporto di seguito il suo testo, rispettandone la privacy:

«Mi dispiace a volte scrivere cose del genere ma ritengo opportuno farlo, anche se si tratta di un social network. Oggi sono stata presente all’ennesima manifestazione di razzismo. Avrei anche preferito fosse nei miei confronti, ma purtroppo un gruppo di donne davanti a me si sono messe ha parlare di “sporchi” sudamericani che “rubano” il lavoro agli Italiani e che “rubano” (ho notato la ripetizione di questa parola più volte durante il loro discorso) i soldi allo stato e così via. La gente è così ignorante (e anche qui vorrei specificare ignorante=persona che ignora) che non si rende neanche conto delle cose che dice. Vorrei subito specificare che la gente arriva dal Sudamerica (o da altre parte del mondo) non sapendo molte volte a cosa va incontro, alla cieca oserei dire, sperando di vivere un futuro migliore. Un esempio è pensare ai profughi dell’Africa. Una seconda cosa che vorrei specificare e che non è che noi EXTRACOMUNITARI RUBIAMO il lavoro agli italiani, ma la verità è che pochi italiani sarebbero disposti a fare lavori “umili” come le badanti o le cameriere ai piani… Noi EXTRACOMUNITARI per tirare avanti siamo disposti a lavorare sodo per anche dieci ore al giorno consecutive senza la famosa pausa pranzo, la tredicesima o la quattordicesima… perché per noi già vedere a fine mese quei pochi soldi in banca molte volte ci commuove. Quindi invece che lamentarsi di quella marea di EXTRACOMUNITARI che stanno arrivando in Italia dovremmo anche solo rispettarli perché (anche una solo in piccola parte) l’economia gira grazie a noi. Detto questo vi invito solo a riflettere su quello che ho detto, di non fare razzismo assolutamente gratuito e di non giudicare le persone al primo impatto, ma di mettersi nei loro panni».

Dopo averlo letto ho condiviso il contenuto sullo stesso social aggiungendo un piccolo commento. Dopo molte ore e, con estremo stupore, ho constatato di non aver ricevuto al riguardo nessun commento, né positivo né negativo.

Vista la partecipazione abituale di amici e conoscenti virtuali ai post mi sono fatta alcune domande. Riflettendo sullo scritto della ragazza ho inevitabilmente ripensato al mio modo di impostare una didattica di tipo inclusivo e agli sforzi per cercare di trasmettere ai miei alunni quel senso di appartenenza al mondo “senza differenze”, ma con diversità che rendono ognuno di noi unico e portatore di culture, lingue, tradizioni arricchenti per l’intera comunità. Questo mio obiettivo per cercare di renderli cittadini aperti alla mondialità globale, farli riflettere sulla necessità di uscire da un etnocentrismo diffuso per allargare gli sguardi verso una visione più ampia, temo che li abbia lasciati fragili di fronte alle persone comuni e al loro modo “di non vedere” al di là degli stereotipi. E anche vulnerabili, perché aperti a un concetto di tolleranza che va ben oltre il giudizio e le barriere culturali.

Insomma, di fronte a un grido accorato di indignazione per aver sentito “insultate” le proprie origini passato nella totale indifferenza dei più, sento di dover mettere in discussione il mio modo di fare scuola che probabilmente non li aiuta a essere forti contro l’ignoranza delle persone. Forse la maggioranza della gente non è ancora pronta ad accogliere come “cittadini” bambini nati in Italia che in tutto e per tutto dovrebbero e devono essere considerati italiani. L’intolleranza diffusa verso gli stranieri, ma anche verso persone provenienti da altre regioni italiane – molte volte del sud – non permette ancora di poter allargare lo sguardo e considerare ognuno diverso per le sue caratteristiche, ma simile perché appartenente allo stesso genere “homo”. Questa, anche se amara, è solo una riflessione: a volte ritengo sia giusto ripensare, alla luce della quotidianità, quali valori trasmettere ai propri alunni per renderli più forti e sicuri, piuttosto che deboli e fragili.


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