IFE Italia

Scuola e "gender"

di Danila Baldo
giovedì 12 ottobre 2017

Pubblichiamo con il consenso dell’autrice.

Danila Baldo è docente di filosofia presso il liceo linguistico "Matteo Vegio " di Lodi, femminista ed attivista di IFE Italia.

Le occasioni per riflettere a scuola su tematiche anche di attualità, utili a costruire personalità critiche e capaci di muoversi autonomamente nel mondo, non devono essere frenate, ma incentivate. Il tema del gender è una di queste, va affrontato adeguatamente sia tramite discussioni durante le ore di lezione sia mediante l’assegnazione di libri ad esso inerenti, tra i quali, per esempio tra gli ultimi pubblicati, "C’è differenza" della sociologa Graziella Priulla e "Mamma, papà e gender" della filosofa Michela Marzano. A nostro parere non vi è nulla di pericoloso, nessun pensiero distorto o lesivo dei valori fondamentali dell’umanità in ciò che abbiamo letto; anzi, la lettura di questi libri, che riteniamo estremamente interessanti e stimolanti per la riflessione, ci è stata utile per conoscere argomenti su cui i giovani di oggi non sono quasi per niente preparati, e forse neanche gli adulti. Consigliamo soprattutto "Mamma, papà e gender" ai genitori preoccupati di un’educazione in tal senso impartita dalla scuola, perché penso che possa aiutare a farsi un’idea più chiara di quelli che sono gli obiettivi di questa educazione, a cominciare dal fatto che quella del gender non è un’ideologia. Non è vero che si vuole insegnare agli studenti che l’uomo e la donna sono uguali, non è vero che si vogliono smentire dati di fatto accertati dalla scienza. Sì, è vero che lo scopo del gender è predicare l’uguaglianza, ma, come argomenta l’autrice del libro in questione, uguale non significa identico. Chiedere uguaglianza non significa negare e nascondere le differenze fra uomo e donna, bensì garantire pari diritti e pari opportunità a tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro sesso, dalle loro ideologie, dalla loro provenienza, dal loro orientamento sessuale. Lottare contro le discriminazioni significa, innanzitutto, smettere di pensare che esista un orientamento sessuale giusto e uno sbagliato, considerando un’eterosessualità normale e naturale e un’omosessualità come se fosse una malattia da curare. Insegnare in questa ottica significa combattere gli stereotipi che definiscono un certo modo di essere adatto per un uomo o adatto per una donna. Non c’è nessuna regola fissa: quello che siamo dipende da una serie di fattori, di cui il corpo e le caratteristiche biologiche, benché importanti, costituiscono solo una parte, e gran parte invece è prescritta da fattori culturali e di ruolo sociale. Non ha alcun fondamento antropologico la concezione secondo cui l’essere nata femmina implica, per esempio, in modo deterministico, diventare madre e che determinati atteggiamenti, comportamenti, professioni sono da maschio o da femmina. Il Ministero dell’Istruzione ha ben spiegato come la scuola italiana, in merito all’educazione di genere, sia tenuta a insegnare il senso del rispetto dei diritti di ogni persona e promuovere la lotta contro qualsiasi forma di discriminazione, quindi anche quella riguardante l’orientamento sessuale. Non è isolando i giovani dal mondo che si risolvono i problemi, i giovani hanno bisogno di sapere e di conoscere, perché è solo conoscendo che si può sviluppare quel giudizio critico che ci permette di ragionare con la nostra testa. La concezione di uomo e di donna va al di là delle caratteristiche biologiche; si tratta di convenzioni sociali su cui è indispensabile discutere e della causa di mancanza di autostima nelle persone che non si sentono ad esse conformi. Non parliamo solo dei ruoli di genere, ossia di quello che la società definisce essere uomo o essere donna, ma di tutte le infondate convinzioni che ci si presentano a partire dalla più tenera età, dai giocattoli e dalle fiabe dell’infanzia. Un bambino a cui non piace il calcio, una bambina vivace e impulsiva, un’adolescente che non porta la taglia 38, si sentono sbagliati, diversi o addirittura intrappolati in un corpo che non sentono loro. La natura non impone alcuna regola, non obbliga ad adottare nessun comportamento, ad effettuare determinate scelte, ad essere attratti da un certo tipo di persona. La scuola non è un servizio volto all’indottrinamento di marionette conformi ad un’ideologia. Lo scopo dell’istruzione scolastica è la formazione di cittadini e cittadine libere, libere di pensare, di esprimere la propria opinione, di scegliere senza inibizioni sociali, senza il blocco dei pregiudizi, avendo a disposizione tutte le opportunità di cui necessitano. Ci permettiamo di sottolineare che lo stesso Art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, comma 2, afferma che: “L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento dei diritti umani e delle libertà fondamentali.” La legge 107/2015 di Riforma della “Buona Scuola” afferma che: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo l’educazione della parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni.” Questo insegnamento non è voler impartire una determinata ideologia o modificare un’idea che si ha, si tratta solo di educazione, anche nei confronti delle persone con le quali ci dobbiamo rapportare. E’ giusto, è indispensabile che i genitori si assicurino che tale compito venga adeguatamente adempiuto. La comunicazione fra scuola e famiglia deve essere finalizzata alla miglior resa del servizio e sarebbe buona cosa informarsi anche sull’educazione di genere e dedicare maggior tempo al dialogo con ragazzi e ragazze a tal riguardo, sia a scuola sia a casa. Per questo penso che i genitori debbano parlare con figli e figlie e capire da loro cosa realmente viene loro insegnato oltre ai contenuti, perché la moderna pedagogia afferma che la scuola deve dare non solo il sapere, ma anche il saper fare e il saper essere. Ed è giusto che vi sia collaborazione con le famiglie, che riflettano e si rendano contro se trovano assurde e improponibili alcune tematiche e letture, oppure se, come è accaduto a noi, fanno aprire gli occhi e fanno riflettere su valori, di cittadinanza attiva e consapevole, che è necessario trasmettere. A chi gridava lo slogan “Giù le mani dai nostri figli” durante il Family Day vorremmo rispondere con queste parole della filosofa Marzano: “Giù le mani anche da quel ragazzo che si vestiva di rosa e amava lo smalto e che si è suicidato, perché i compagni lo chiamavano frocio. Giù le mani anche da quei bimbi che sentono nascere in sé sentimenti che alcuni giudicano “contro natura” e che pensano di essere sbagliati. Giù le mani da chi vive con due donne o con due uomini che si amano e che la legge non protegge in caso di problemi perché esiste chi, sottolineando l’inferiorità di chi è “diverso", di fatto non fa altro che cancellarne l’alterità. Forse anche solo perché ne ha paura.”


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