IFE Italia

Il sottofondo nero dello jihadismo

di Livio Boni
sabato 23 gennaio 2016

Sintesi dell’opuscolo " Notre mal vient de loin.Penser les tueries du 13 novembre" che contiene un intervento del filosofo francese Alain Badiou a proposito degli attentati terroristici a Parigi.

Fonte: www.ilmanifesto.it

Appena dieci giorni dopo «gli omicidi di massa» del novembre scorso, il filosofo francese Alain Badiou ha tenuto una seduta straordinaria del proprio seminario, ora ripresa nell’opuscolo Notre mal vient de plus loin. Penser les tueries du 13 novembre (“Il nostro male viene da più lontano. Pensare i massacri del 13 novembre”, Fayard, pp. 72, non ancora tradotto). La «delucidazione» di Badiou cerca di tener insieme il piano dell’analisi «oggettiva» — di matrice marxista – e quello dell’analisi «soggettiva» — di stampo psicoanalitico, tra i quali organizza un movimento di aller-retour.

Si comincia dunque con una descrizione dello stato della situazione mondiale, non per entrare in una disamina erudita dell’evoluzione dei rapporti di forza dal punto di vista geopolitico, nel mondo arabo e dintorni, ma per insistere sopratutto su un punto: il capitalismo trionfante – che Badiou preferisce chiamare «liberato» piuttosto che «neololiberale» — sta in parte realizzando il sogno marxiano del superamento dello Stato, non solo attraverso la concentrazione di forze economiche spesso superiori a quelle degli Stati sovrani, ma anche per mezzo dell’abolizione materiale di una parte di essi e della costituzione di vaste zone di anarchia e caos propizie all’estrazione selvaggia di valore grazie al controllo sulle materie prime garantito da milizie al soldo dei grandi gruppi trasnazionali (come avviene in Congo, in Mali, e in molti paesi del continente africano, tra cui la Libia). Badiou definisce «zonage» la produzione di tali spazi post-statuali pefettamente compatibili con il trionfo di un capitalismo ormai senza avversari.

Ora, è su questo terreno anomico e devastato che emerge, per il filosofo francese, la soggettività estremista. Ed è qui che la lettura di Badiou si fa al contempo più acuta e arrischiata. Poiché all’orizzonte non si presenta alcuna alternativa tra l’integrazione impossibile all’Occidente capitalistico ed il ripiegamento identitario e religioso, una parte significativa del proletariato e della gioventù mondiale (non solo araba o musulmana) adotta una sorta di soluzione di compromesso, quella di una fascistizzazione che al tempo stesso tradisce una fascinazione per l’Occidente e ostenta un odio assoluto per quest’ultimo.

Non vi è dunque da stupirsi che la soggettività islamista si riveli composta da elementi paradossali: culto delle armi, delle automobili sportive, uso ostentato di alcool e droga, feticismo dell’immagine, bullismo, sono gli ingredienti del «gangsterismo» jihadista, che Badiou non esita a definire fascista, non tanto in ragione dei suoi riferimenti ideologici, quanto appunto per quest’allenanza singolare, soggettivamente fascista, tra vitalismo e culto della morte.

In questa formazione patologica, l’elemento religioso non è una matrice del sintomo, ma una «copertura», una veste «puramente formale», la sublimazione repressiva — si potrebbe dire in un linguaggio più freudo-marxista – di una nevrosi profonda, per la quale l’odio ed il passaggio alla violenza rappresentano l’unica forma di rapporto possibile con l’oggetto di un amore denegato. («Non è l’islamismo che rende fascisti, ma il fascismo che rende islamisti», riassume Badiou). Il conflitto intimo è d’altronde talmente violento che gli «omicidi di massa» avvenuti a Parigi non sono nemmeno qualificabili come «attentati», poiché il soggetto che li compie si abolisce insieme alle proprie vittime, si annulla letteralmente nell’atto e attraverso di esso, secondo quella che Badiou definisce una pura logica della pulsione di morte.

La conferenza si chiude con un ritorno al piano «oggettivo», questa volta però dal punto di vista della prognosi più che della diagnosi: solo l’emergenza di un desiderio autenticamente alternativo al desiderio d’Occidente permetterà alle soggettività in rivolta di non trovarsi intrappolate nell’alternativa drastica tra assimilazione e subalternizzazione, tra integrazione all’Occidente e reazione rabbiosa contro di esso, alternativa impossibile che ha già schiacciato il bilancio delle rivoluzioni arabe. Ed il nome generico di un tal desiderio alternativo continua ad essere, per Badiou, «comunismo», nel senso minimale, ma fondamentale, del perseguimento di un mondo non-separato, multiplo e senza gerarchie interne.


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